“Essere o non essere (gay): questo è il dilemma”

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Storia dell’orientamento sessuale ego-distonico e della sessualità considerata “deviante”.

Rifletteva l’Amleto di Shakespeare se fosse meglio vivere soffrendo (“essere“) oppure ribellarsi rischiando di morire (“non essere“). Il dubbio di Amleto si fondava su un interrogativo esistenziale, designando lo stato d’incertezza per eccellenza, il dubbio supremo di difficile soluzione. Nel caso dell’orientamento sessuale: è possibile scegliere chi essere e agire in modo conforme a ciò che si sente come desiderio e attrazione, in quelle circostanze familiari, sociali e culturali in cui ciò implicherebbe necessariamente una sofferenza o una penalizzazione? Un conflitto interiore di questo tipo può insorgere, ad esempio, nel caso dell’essere gay in una famiglia fortemente cattolica o musulmana, o dell’essere etero ma sentendo attrazione per persone dello stesso sesso, o ancora quando si è formata o interiorizzata una o più figure giudicanti la propria sessualità, qualunque sia il suo orientamento. Parliamo allora di orientamento sessuale ego-distonico quando il nostro orientamento sessuale o un’attrazione che abbiamo è in contrasto con l’immagine idealizzata di sé. Circostanza che causa ansia e il desiderio di cambiare il proprio orientamento (non il proprio sesso, in qual caso si parla di disforia di genere, che non c’entra nulla con l’orientamento sessuale). In ogni caso, il disagio percepito nell’ego-distonia nasconde il bisogno necessario di sentirsi più a proprio agio con il proprio orientamento sessuale. L’interrogativo di Amleto si fondava su una contrapposizione determinante tra i due termini presi in considerazione come unica possibilità di scelta: “Essere/Non essere”. Ma è veramente possibile scegliere chi o cosa essere? Chi o cosa determina il nostro orientamento sessuale? E fino a che punto possiamo cercare di “deviarlo”, qualora accada che fossimo noi stessi a considerarlo “deviante” da ciò che vorremmo essere?

L’anima, si sa grazie a Hillman, non è affatto duale e oppositiva, né schizoide per natura. È questo invece un difetto del punto di vista dell’io e del suo giudizio, quando non è in grado di comprendere l’anima e farla stare nel mondo, dal suo punto di vista. Nonostante sia pur vera l’intuizione junghiana che dentro ogni uomo ci sia una donna e che dentro ogni donna ci sia un uomo, l’anima non agisce né si rappresenta necessariamente in forma contrasessuale così come Jung scriveva nei suoi libri, tantomeno relativamente al sesso e al nostro orientamento verso di esso. È da sempre noto quanto l’anima sia cangiante e polimorfa, androgina e pansessuale: basta dare un’occhiata ai miti antichi per rendersene conto. C’è ancora molta confusione tra la qualità energetica sessuale della psiche, così come essa ci si presenta nell’intuizione e nell’immaginazione, negli affetti e nelle emozioni, e l’orientamento sessuale in cui l’io può più o meno riconoscersi. È l’identificazione proiettiva e l’idealizzazione che l’io pone all’origine di una scelta, l’origine stessa dell’indecisione che impedisce al protagonista di agire, così provocando un blocco e una scissione psichica. Come Amleto valuta tutte le possibili alternative senza tuttavia riuscire a individuare razionalmente la più giusta o adeguata, così ancora oggi le nostre tendenze pansessuali vengono spesso rimosse o ridotte, poiché giudicate socialmente inadeguate. Non descrivendosi tuttavia un orientamento sessuale innato in sé, la sessualità che si possiede così come essa effettivamente si presenta può sconvolgerci la vita e far crollare il nostro senso di identità quando entra in conflitto con l’orientamento che si può desiderare avere, ad esempio, per credenze, vantaggio, cultura o bisogno di accettazione. Ma è sempre un conflitto di immagini e immaginari: quello dell’io contro quello che l’anima impone. Ed è sempre una educazione alle immagini della psiche la cura per lo scioglimento di questo conflitto e la sua risoluzione. Vediamo allora quali sono le teorie nel tradizionale approccio clinico al problema dell’orientamento sessuale ego-distonico e nella possibilità di un intervento psicoterapeutico ad esso, fino a giungere a ciò che invece propone e riconosce la nostra psicologia analitica archetipica. Sappiamo infatti che, se la psicologia si è da sempre occupata della sessualità e dei suoi problemi, sin da principio la loro visione e l’approccio ad essi sono stati condizionati da credenze e stereotipi culturali e religiosi. Anche se nella psicologia le concezioni giudicanti la sessualità e i suoi disturbi sono oggi cadute, il problema dell’orientamento sessuale ego-distonico rimane ancora diffuso tra la gente in quanto tuttora a cavallo di un’epoca di profonda crisi e trasformazione culturali.

La storia della diagnosi.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha annoverato l’orientamento sessuale ego-distonico nell’ICD-10 come un disturbo dello sviluppo e dell’orientamento sessuale. La diagnosi dell’OMS si applica quando l’identità di genere o l’orientamento sessuale sono chiari, ma un paziente ha un altro disturbo comportamentale o psicologico che lo spinge a desiderare di cambiarlo. Il manuale diagnostico sottolinea che un orientamento sessuale non è un disturbo in sé[1]. Allo stesso tempo, l’American Psychological Association (APA) si è ufficialmente opposta alla categoria dell’omosessualità ego-distonica dal 1987[2]. Era ancora un’epoca in cui erano diffusi gli interventi di correzione al proprio orientamento sessuale, e le “terapia riparative” venivano proposte e pubblicizzate, da una parte, e già fortemente criticate dall’altra. Ma arriviamo fino al 2007 affinché una task force dell’APA intraprendesse una revisione approfondita della ricerca esistente sull’efficacia della terapia riparativa. Il loro rapporto rivelò che la ricerca metodologicamente valida sugli sforzi per il cambiamento dell’orientamento sessuale (sexual orientation change efforts, SOCE) era molto scarsa, e che “i risultati di ricerche scientificamente valide indicano che è improbabile che gli individui siano in grado di ridurre le attrazioni per lo stesso sesso o aumentare l’attrazione per l’altro sesso grazie ai SOCE“. Inoltre, la task force aveva scoperto che non esistevano studi metodologicamente validi dei recenti SOCE che consentivano dichiarare definitivamente che i recenti SOCE fossero sicuri o dannosi, e per chi[3].

La categoria diagnostica di “omosessualità ego-distonica” era già stata rimossa dal DSM dell’APA nel 1987 (con la pubblicazione del DSM-III-R) proprio per mancanza di dati scientifici che confermassero l’esistenza di un disturbo specifico. Da allora i disturbi sessuali associati ad ego-distonia sono ancora presenti nel DSM nella categoria “Disturbo sessuale non altrimenti specificato”, o “Disfunzione sessuale con altra specificazione” nel caso il clinico decida di comunicare la ragione specifica, ad esempio “Avversione sessuale”. Rispetto al DSM-IV, infatti, la diagnosi di “Disturbo da avversione sessuale” è stata eliminata perché raramente utilizzata e per la mancanza di ricerca e supporto[4]. Uno dei disturbi in questa categoria è il disagio persistente e marcato riguardo al proprio orientamento sessuale, che può essere considerato simile a quello che l’OMS descrive come orientamento sessuale ego-distonico[5]. Tuttavia analogamente, il gruppo di lavoro che esamina le modifiche per l’ICD-11 riferisce che le classificazioni nella sezione F66 non sono clinicamente utili e ne raccomanda l’eliminazione[6].

Ad oggi, perciò, non esiste più una diagnosi di orientamento sessuale ego-distonico. La questione dell’utilità e della funzione delle diagnosi psichiatriche in generale, viene da me affrontata in un articolo specifico. Per il caso specifico, mi limiterò qui a dire che non abbiamo bisogno di una diagnosi di questo tipo, perché le ragioni di una ego-distonia sono tante, e soprattutto essendo l’orientamento sessuale un comportamento fortemente culturale, la stessa diagnosi senza una profonda analisi delle radici culturali del soggetto può essere del tutto fuorviante e complicare l’eventuale intervento e la risoluzione dell’orientamento col suo impatto iatrogeno. Tuttavia, quando l’OMS ha rimosso la diagnosi di omosessualità come disturbo mentale nell’ICD-10, ha incluso la diagnosi di orientamento sessuale ego-distonico in “Disturbi psicologici e comportamentali associati allo sviluppo e all’orientamento sessuale”. L’ICD-10 dell’OMS diagnostica l’orientamento sessuale ego-distonico così: “L’identità di genere o la preferenza sessuale (eterosessuale, omosessuale, bisessuale o prepuberale) non è in dubbio, ma l’individuo desidera che sia diversa a causa dei disturbi psicologici e comportamentali associati, e può cercare un trattamento per cambiarla”. L’OMS sottolinea che per i codici sotto F66 “l’orientamento sessuale di per sé non deve essere considerato un disturbo”. Tuttavia, ai pazienti verrà ancora diagnosticato questo problema[7]. Ciò avviene in risultato di atteggiamenti sfavorevoli e intolleranti della società, o di un conflitto tra impulsi sessuali e sistemi familiari o di credenze religiose[8]. Il problema di come inquadrare l’orientamento sessuale ego-distonico rimane tuttora aperto, ma ciò non deve stupirci affatto, in quanto lo stesso DSM e i sistemi nosografici di classificazione dei disturbi, nonché l’approccio terapeutico, hanno questa caratteristica in comune: come l’orientamento sessuale, sono anch’essi condizionati dalla cultura di riferimento del medico o psicologo stesso.

Quando il pericolo è la stessa terapia.

Ci sono molti modi in cui una persona può adoperarsi per una terapia per l’orientamento sessuale ego-distonico associato all’omosessualità: non esiste una terapia nota per altri tipi di orientamenti sessuali ego-distonici. La terapia può ancora oggi essere finalizzata a cambiare l’orientamento sessuale, oppure aiutare il paziente a sentirsi più a proprio agio con il proprio orientamento e comportamento sessuali. Le associazioni per i diritti umani hanno accusato alcuni Paesi di eseguire trattamenti correttivi su omosessuali ego-sintonici[9]. Il trattamento correttivo o riparativo può prevedere tentativi di cambiamento dell’orientamento sessuale o trattamenti per alleviare lo stress. Inoltre, alcune persone cercano metodi non professionali, come la consulenza religiosa o la partecipazione a un gruppo di ex-gay, come oggi se ne trovano anche su internet. Dall’altra parte, la psicoterapia affermativa gay aiuta le persone LGB ego-distoniche a esaminare e accettare il proprio orientamento sessuale e le relazioni sessuali correlate.

È importante ricordare che gli psicologi e tutti i professionisti medici tradizionali sostengono che l’omosessualità e la bisessualità non sono indicative di malattia mentale. Per molti anni la psichiatria ha visto l’omosessualità come una malattia mentale, e questo iniziò a cambiare soltanto nei primi anni settanta. Le attuali linee guida invece incoraggiano gli psicoterapeuti ad aiutare i pazienti a superare lo stigma dell’omosessualità piuttosto che cercare di ostacolare il proprio orientamento sessuale[10]. Poiché alcuni professionisti della salute mentale non hanno familiarità con le difficoltà sociali del processo di coming out, in particolare per altri fattori come età, razza, etnia o affiliazione religiosa, sono incoraggiati dall’APA a saperne di più su come i clienti gay, lesbiche e bisessuali affrontano la discriminazione nelle sue varie forme. Molti gay e lesbiche vengono rifiutati dalle proprie famiglie, e formano proprie relazioni familiari e sistemi di supporto che possono anche non essere familiari ai professionisti della salute mentale, i quali sono incoraggiati a prendere in considerazione la diversità delle relazioni estese al posto della famiglia. Nella psicoterapia affermativa gay, gli psicologi sono incoraggiati a riconoscere in che modo i loro atteggiamenti e le loro conoscenze sulle questioni omosessuali e bisessuali possono essere rilevanti per la valutazione e il trattamento, e quando indicato cercano consulti o referenze appropriate, ad esempio di istituti di sessuologia. Gli psicologi devono oggi sforzarsi di comprendere i modi in cui la stigmatizzazione sociale, nonché il pregiudizio, la discriminazione e la violenza, pongano seri rischi per la salute mentale e il benessere dei pazienti omosessuali e bisessuali. Nell’ambito della psicologia clinica e della psicoterapia, è necessario capire come le visioni inaccurate o pregiudizievoli dell’omosessualità o della bisessualità da parte dello psicologo possano influenzare il racconto e la presentazione stessa della storia del paziente durante il trattamento, il suo giudizio su se stesso, e condizionare il processo terapeutico. Per alcuni pazienti, infatti, agire sull’attrazione per lo stesso sesso potrebbe non essere una soluzione soddisfacente in quanto ciò potrebbe essere in conflitto con le loro convinzioni religiose, oppure il paziente che non è pronto ad accettare se stesso potrebbe chiudersi e opporsi al terapeuta e alla conoscenza e accettazione dei suoi reali bisogni, fino a rifiutare la stessa terapia. La questione è che non possiamo convincere nessuno a essere gay o etero, né prescrivere o giudicare un orientamento specifico: dovrà essere l’analisi degli immaginari psichici del paziente a determinare, come vedremo più avanti, qual è il suo reale bisogno psicologico. I professionisti d’aiuto possono affrontare una situazione del genere né rifiutando né promuovendo il celibato[11]. Le persone spesso cercano una terapia a causa della frustrazione che circonda differenze interne apparentemente inconciliabili tra “il loro sé sessuale e religioso”, e in questi cosi non può essere indicato né un approccio gay-affermativo né un approccio di terapia di conversione[12]. Proprio come i terapeuti nel mondo religioso dovrebbero astenersi dal patologizzare i loro clienti LGB, così anche i professionisti dell’affermazione gay dovrebbero astenersi dal svalutare apertamente o sottilmente coloro che sposano identità religiose conservatrici. Il punto di riferimento, oggi, è ritenuto quindi l’ego-sintonia o –distonia del paziente rispetto alla propria sessualità nell’orientamento, ovvero: cosa piace davvero al paziente? Il sesso omo o etero, o entrambi? Cosa genera nella psiche del paziente l’attrazione? Come ciò si inserisce nel suo contesto culturale e religioso? Queste sono le forse domande più obiettive che un terapeuta dovrebbe farsi oggi.

Una delle aree di ricerca emergenti riguardanti la psicoterapia affermativa gay è correlata al processo di aiutare le persone LGBTQ provenienti da ambienti religiosi a sentirsi a proprio agio con il loro orientamento sessuale e di genere. Le analisi narrative dei rapporti dei medici riguardanti la psicoterapia affermativa gay suggeriscono che la maggior parte dei conflitti discussi nel contesto terapeutico da uomini gay e dai loro parenti di estrazione religiosa sono legati all’interazione tra famiglia, sé e religione. I medici riferiscono che gli uomini gay e le loro famiglie lottano più spesso contro l’istituzione, la comunità e le pratiche religiose piuttosto che direttamente con Dio. I medici affrontano più frequentemente queste tensioni enfatizzando le strategie di mediazione per aumentare la consapevolezza di sé, cercare supporto secolare e aumentare la comunicazione positiva tra i membri della famiglia[13]. La task force commissionata dall’APA ha stabilito che l’identità religiosa e il modo in cui si identifica esternamente il proprio orientamento sessuale (identità dell’orientamento sessuale) possono svilupparsi nel corso della vita. La psicoterapia, i gruppi di supporto e gli eventi della vita possono influenzare il modo in cui ci si identifica nel privato e pubblicamente. Allo stesso modo, la consapevolezza di sé e la concezione di sé possono evolvere durante il trattamento[14]. Alcuni professionisti insistono ancora oggi sul fatto che il miglioramento può essere visto nell’adattamento emotivo, con l’auto-stigma e la riduzione della vergogna, e nelle convinzioni personali, nei valori e nelle norme attraverso il cambiamento di convinzioni religiose e morali, comportamenti e motivazioni. Tuttavia, un tale approccio al trattamento è ampiamente considerato come scarsamente consigliato, rischioso e potenzialmente dannoso per l’individuo[15]. L’APA “incoraggia i professionisti della salute mentale a evitare di travisare l’efficacia degli sforzi di cambiamento dell’orientamento sessuale promuovendo o promettendo un cambiamento nell’orientamento sessuale, quando si fornisce assistenza a individui angosciati dall’orientamento sessuale proprio o altrui, e conclude che i benefici riportati dai partecipanti negli sforzi per cambiare l’orientamento sessuale possono essere ottenuti attraverso approcci che non tentano di cambiare l’orientamento sessuale”. L’APA ha esaminato la ricerca sull’efficacia degli sforzi per cambiare l’orientamento sessuale e ha concluso che non c’erano prove sufficienti per dimostrare se questi fossero efficaci o meno. I partecipanti hanno segnalato sia i danni che i benefici di tali sforzi, ma non è stata determinata alcuna relazione causale tra il beneficio o il danno. Secondo un recente studio dell’APA, i partecipanti che hanno riportato danni hanno generalmente riferito “rabbia, ansia, confusione, depressione, dolore, senso di colpa, disperazione, relazioni deteriorate con la famiglia, perdita di sostegno sociale, perdita di fede, scarsa immagine di sé, isolamento sociale, difficoltà di intimità, immagini intrusive, ideazione suicidaria, odio per se stessi e disfunzione sessuale. Queste segnalazioni di percezioni di danno sono contrastate da resoconti di percezioni di sollievo, felicità, relazioni migliorate con Dio e miglioramento percepito dello stato di salute mentale”. Nessuna delle principali organizzazioni di professionisti della salute mentale ha approvato gli sforzi per cambiare l’orientamento sessuale e praticamente tutti hanno adottato dichiarazioni che mettono in guardia i professionisti d’aiuto e l’utenza sui trattamenti che pretendono di cambiare l’orientamento sessuale. L’APA stessa ha infine categoricamente respinto la cosiddetta terapia di conversione (a volte chiamata terapia “ex-gay”) come improduttiva e potenzialmente dannosa[16].

Una versione della terapia di conversione, la Gender Wholeness Therapy è stata progettata da un ex counselor gay, David Matheson[17]. L’enfasi nel counseling di Matheson era sull’aiutare gli uomini, tutti i suoi clienti erano maschi, a sviluppare ‘integrità di genere’ affrontando problemi emotivi e costruendo legami sani con altri uomini. Sosteneva di credere che aiutasse a ridurre i desideri omosessuali. Nel 2019, il signor Matheson ha annunciato che intendeva divorziare dalla moglie e vivere il resto della sua vita come un uomo apertamente gay. Un’altra variante della terapia di conversione, la “Terapia affermativa di genere”, è stata descritta da A. Dean Byrd come segue: “La premessa di base della terapia affermativa di genere è che le variabili sociali ed emotive influenzano l’identità di genere che, a sua volta, determina l’orientamento sessuale. Il lavoro del terapeuta è aiutare le persone a comprendere il loro sviluppo di genere. Successivamente, tali individui sono in grado di fare scelte coerenti con il loro sistema di valori. L’obiettivo della terapia è aiutare i clienti a sviluppare pienamente la loro identità maschile o femminile”[18]. Diverse organizzazioni hanno avviato ritiri guidati da coach volti ad aiutare i partecipanti a diminuire i desideri verso lo stesso sesso. L’APA ha specificamente sconsigliato gli sforzi per il cambiamento dell’orientamento sessuale e incoraggia i professionisti ad aiutare coloro che cercano il cambiamento dell’orientamento sessuale utilizzando una terapia affermativa multiculturalmente competente, che riconosce l’impatto negativo dello stigma sociale sulle minoranze sessuali e bilancia i principi etici di beneficio e non-maleficio, giustizia e rispetto dei diritti e della dignità delle persone. Perciò, se un cliente vuole cambiare il proprio orientamento sessuale, il terapeuta dovrebbe aiutare il cliente a valutare le ragioni alla base dei suoi obiettivi.

Il bisogno del sacro.

I termini ego-distonico ed ego-sintonico sono usati all’interno della Chiesa cattolica romana in quanto, secondo l’avvocato per i diritti gay Bernard Lynch, i sacerdoti che sono gay ma ego-distonici, cioè “odiano la loro omosessualità”, sono accettabili, mentre i candidati al sacerdozio ego-sintonici, quelli che accettano la propria sessualità, non possono essere considerati. Alcune Chiese pubblicano istruzioni specifiche al clero su come approcciarsi a persone gay e lesbiche. Ne sono un esempio il “Ministero per le persone con un’inclinazione omosessuale”, prodotto dalla Chiesa cattolica, e “Dio ama i suoi figli”, prodotto dalla Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. Ciò nonostante, l’APA incoraggia i leader religiosi a riconoscere che è al di fuori del loro ruolo giudicare questioni scientifiche empiriche in psicologia. C’è quindi ancora una battaglia aperta tra Chiesa cattolica e mondo scientifico su questo argomento.

I professionisti della salute mentale possono incorporare la religione nella terapia, come suggerito dall’APA, “integrando aspetti della psicologia della religione nel loro lavoro, anche ottenendo una valutazione approfondita delle credenze spirituali e religiose dei clienti, dell’identità e delle motivazioni religiose e del funzionamento spirituale; migliorando un adattamento religioso positivo; ed esplorare l’intersezione tra identità religiosa e di orientamento sessuale”. I ricercatori hanno scoperto che per alcuni pazienti che hanno “conflitti di identità”, questi possono essere ridotti leggendo testi religiosi che aumentano l’autorità e consentono loro di ridurre la loro attenzione sui messaggi negativi sull’omosessualità. I ricercatori hanno anche scoperto che tali pazienti hanno fatto ulteriori progressi se sono giunti a credere che, indipendentemente dal loro orientamento sessuale, il loro Dio li ama e li accetta ancora. Forse è proprio il bisogno – e la relativa minaccia di perdita – di una fede religiosa, o più semplicemente del bisogno di un valore sacro e religioso della vita, monoteista o politeista che sia, a far parte dei bisogni fondamentali dell’essere umano, così come Carl Gustav Jung ha messo in luce attraverso tutta la sua vasta opera. Questo bisogno è tuttavia da ricomprendere nel sacro e nel numinoso di cui abbiamo bisogno per vivere e far vivere la nostra psiche. Possiamo accedere alla dimensione del divino ogni qualvolta lo riscopriamo in noi stessi e nel mondo, tuttavia non è necessario avere un credo specifico: il divino fa già parte della nostra natura psichica, ed pe questo il contatto che abbiamo bisogno di non perdere per vivere la vita appieno e in modo che abbia senso e significato.

La devianza sessuale.

Sappiamo tuttavia che la stessa teoria freudiana della sessualità e delle perversioni sessuali aveva inizialmente permesso alla cultura religiosa di far sue le teorie psicanalitiche, fino a manipolarle. La definizione psicoanalitica tradizionale di “perversione” metteva in risalto la devianza e le anormalità sessuali, spesso enfatizzandone gli aspetti bizzarri. Come Freud fece notare per primo, elementi di sessualità polimorfa (da lui tuttavia definiti “perversi”) fanno parte della vita sessuale di ognuno e, in molti casi è molto difficile tracciale una linea divisoria tra ciò che può essere considerato normale e non. Oggi diremmo che è perlopiù inutile e pericoloso. Per Stoller[19], l’azione era considerata perversa quando l’eccitazione erotica dipendeva dalla sensazione che l’individuo ha di commettere peccato. È proprio la nozione di peccato a divenire centrale nella concezione della perversione, perché sottolinea la percezione soggettiva dell’azione trasgressiva da cui nasce il piacere. Diviene chiaro, a un certo punto, che la problematica sessuale non può mai essere sganciata dalla concezione religiosa e culturale di ciò che è inteso come trasgressione.

Un contributo iniziale fondamentale fu quello di Krafft-Ebing, fondatore della moderna sessuologia[20]. Lo studio della sessualità deviante ha avuto inizio, infatti, alla fine del secolo scorso, con la pubblicazione della prima edizione del suo voluminoso trattato “Psychopatia Sexualis”, in cui le “aberrazioni sessuali” sono considerate per la prima volta oggetto di studio psichiatrico. Per l’autore, la scelta della perversione è sempre latente, anche quando è possibile documentare la sua insorgenza in episodi dell’infanzia. Egli crede, infatti, che un accadimento dell’infanzia, come ad esempio l’eccitamento di essere picchiato del piccolo Rousseau (citato anche da Freud), sia solo un fattore secondario nell’eziologia del masochismo, l’occasione per il suo emergere piuttosto che la sua causa e intuisce che le fantasie masturbatorie a carattere deviante nell’infanzia sono il serbatoio dello sviluppo della perversione in età adulta.

Nel 1991, la Kaplan scrive nel suo libro “Perversioni femminili” che “ciò che distingue una perversione è la sua qualità di disperazione e fissazione”, nel senso in cui una performance perversa è interpretata da chi non ha altre scelte, da chi, altrimenti, sarebbe sopraffatto dall’ansia o dalla depressione o dalla psicosi. Nei fatti, la perversione serve per placare i cosiddetti “demoni personali”, e diventa la preoccupazione centrale della vita del perverso. Insomma la perversione sarebbe una strategia psicologica inconscia atta a sopravvivere e, più ancora, a sopravvivere con la sensazione di trionfare sui traumi dell’infanzia. Nel dibattito che si è andato sviluppando in questi ultimi anni, il termine “perverso”, che è stato già cancellato dalla nosografia psichiatrica, tende a scomparire anche dal linguaggio terapeutico. Oggi nel DSM non si parla più di “perversione”, termine bandito dalla psicologia perché giudicante, ma di parafilie, termine neutro e sprovvisto di connotazioni morali, quindi lontano dal sospetto di voler etichettare le varie forme di sessualità e orientamento come spregevoli o malvagi. Le parafilie comprendono tutte le perversioni tradizionali quali il feticismo, il travestitismo, l’esibizionismo, il voyeurismo, la pedofilia, il sadomasochismo, etc. A causa della commistione di pregiudizi morali che il termine comportava, in questa trattazione continuiamo a parlare di “perversione” ai soli fini teorici, essendo comunque il termine utilizzato da tutti i teorici del passato.

Freud e il complesso di Edipo.

Il punto di partenza della prospettiva della “perversione” non può che trovarsi negli studi di Sigmund Freud, realizzati all’inizio del secolo. La scoperta di una sessualità infantile permise a Freud di esaminare la vita erotica normale e patologica da una prospettiva unitaria, e di spiegare, nello stesso tempo, le perversioni e i sintomi nevrotici. Nel suo celebre libro “Tre saggi sulla teoria sessuale” (1905), Freud afferma che la sessualità umana è un fenomeno profondamente complesso dovuto, tra le varie ragioni, al fatto che l’oggetto e il fine della pulsione sessuale possano acquistare completa autonomia[21]. La perversione viene definita come una prevaricazione o un indugio, ovvero sono: “a) o prevaricazioni anatomiche delle regioni del corpo destinate all’unione sessuale o, b) indugi in relazioni intermedie con l’oggetto sessuale, che normalmente debbono essere rapidamente sorpassate sulla via della meta sessuale finale”. Le aberrazioni sessuali nelle quali è perturbato l’oggetto, e quelle che si riferiscono al fine sessuale, sono disturbi estremamente versatili, con passaggi frequenti dal normale al patologico, e proprio da questo punto di vista si basano gli studi dell’autore sulle nevrosi. I sintomi nevrotici avevano rivelato a Freud un’inaspettata relazione con la vita sessuale, della quale costituivano una manifestazione mascherata. Proprio questa vita sessuale dei nevrotici, perlopiù latente, risultava più vicina alla sessualità perversa che a quella sana. In accordo con i notevoli risultati della sua ricerca, Freud dimostra che la sessualità dei nevrotici risale sempre ai primi anni di vita. Questo sarebbe il punto di partenza della sua scoperta della sessualità infantile, fonte comune della sessualità dell’adulto normale o perverso, e dei suoi pregiudizi.

La sessualità infantile, che Freud studia nel secondo saggio, è caratterizzata da una grande quantità di pulsioni parziali (vedere, toccare, mordere etc.), scaturite da diverse zone erogene (bocca, ano, genitali etc.), che solo attraverso un lungo e complicato sviluppo arrivano a cristallizzarsi nella vita sessuale dell’adulto. Se questo processo si realizza in maniera soddisfacente, le pulsioni parziali sono subordinate al primato genitale; se invece questo processo fallisce, le pulsioni parziali entrano in competizione con l’impulso genitale e occupano il suo posto. Nelle perversioni la pulsione parziale dominante si esteriorizza liberamente; nelle nevrosi, invece, rimane rimossa e compare il sintomo. Da qui deriva il famoso concetto freudiano che la nevrosi è il negativo della perversione. Il corollario di queste scoperte è che Freud qualifica la sessualità infantile come polimorfa (in quanto è costituita da pulsioni che partono senza ordine né accordo da diverse zone erogene) e come perversa, giacché i suoi fini si separano dallo scopo procreativo del rapporto sessuale.

Il rigore di questi concetti, tuttavia, si modifica negli anni seguenti la pubblicazione dei tre saggi[22]. Freud, infatti, cerca di dare un certo ordine alle caotiche pulsioni parziali descrivendo le varie fasi dello sviluppo sessuale del bambino, che attivano e definiscono la gratificazione della libido. Nel primo anno di vita del bambino, Freud delimita la fase orale, e subito dopo, intorno al secondo anno di vita, la fase anale. Queste due fasi culminano con la fase fallica, che copre i successivi tre anni dell’infanzia e nella quale si sviluppa il complesso di Edipo, ovvero la relazione erotica del bambino coi suoi genitori. Solo dopo, nella pubertà, l’individuo raggiunge una genuina relazione oggettuale, non incestuosa. Sulla base della teoria della libido, formulata da Freud nella seconda decade del’900, le perversioni si spiegherebbero come processi di fissazione e regressione ad una fase precedente dello sviluppo sessuale, con il conseguente rafforzamento di una determinata pulsione parziale che diventa il centro intorno a cui ruota l’intera vita sessuale del perverso. Nell’individuo non perverso, invece, la sessualità infantile si riattiverebbe nell’adolescenza (dopo la fase di latenza), ed evolverebbe verso la sessualità normale dell’adulto, con il suo primato genitale e l’integrazione delle pulsioni parziali.

La teoria delle relazioni oggettuali.

Un altro contributo fondamentale per comprendere le perversioni e la loro origine è sicuramente quello dei teorici inglesi delle relazioni oggettuali, in particolar modo Fairbairn, Melanie Klein e Winnicott, i quali sottolineano l’importanza dei contributi preedipici della psicopatologia nel rapporto madre-neonato, nonché il ruolo centrale dell’aggressività preedipica[23],[24]. Secondo questo punto di vista, l’aggressività pregenitale (soprattutto orale) patologicamente intensa del bambino, sia innata secondo la Klein, sia come reazione alla frustrazione secondo Fairbairn e Winnicott, viene proiettata sulle figure genitoriali, soprattutto sulla madre, provocando in tal modo una distorsione paranoide delle loro prime immagini. Poiché il bambino proietta soprattutto impulsi sadici orali ma anche anali, la madre viene percepita come potenzialmente pericolosa.

L’odio per la madre diventa, in seguito, odio per entrambi i genitori, considerati dal bambino, nella sua fantasia inconscia, un’unità. Una contaminazione dell’immagine del padre da parte dell’aggressività, primariamente proiettata sulla madre e quindi trasposta su di lui, e la mancanza di differenziazione fra le immagini dei genitori sotto l’influsso di operazioni difensive primitive che hanno a che fare con tale aggressività, producono sia nei ragazzi sia nelle ragazze un’immagine padre-madre combinata e pericolosa, con la conseguenza che tutte le relazioni sessuali vengono percepite come pericolose e infiltrate di aggressività. In circostanze del genere, la scena primaria acquista caratteristiche particolarmente pericolose e terrificanti e viene percepita dal bambino con gravi distorsioni sadomasochistiche. Queste condizioni conducono a un’eccessiva aggressivizzazione dei conflitti edipici, così che l’immagine del rivale edipico acquista caratteristiche terrificanti pericolose e distruttive.

L’angoscia di castrazione e l’invidia del pene assumono caratteri esagerati e dominanti; inoltre, i veti del Super-Io nei confronti di tutte le relazioni sessuali, a causa delle loro implicazioni edipiche, acquisiscono una qualità selvaggia e primitiva, che si riflette in gravi tendenze masochistiche, o in proiezioni paranoidi dei precursori del Super-Io. L’idealizzazione dell’oggetto d’amore eterosessuale nella relazione edipica positiva, e dell’oggetto d’amore omosessuale in quella negativa, viene accentuata e, come espressione dei meccanismi di scissione, mostra spiccati funzioni difensive nei confronti della minacciosa condensazione della rabbia primitiva e dell’aggressività edipica. Le esagerate, irrealistiche idealizzazioni dell’oggetto d’amore, affiancate dalle distorsioni irrealistiche paranoidi del rivale edipico, intensificano ulteriori inibizioni edipiche nonché l’angoscia di castrazione. Gli impulsi genitali dei pazienti con conflitti edipici predominanti svolgono anche importanti funzioni pregenitali. Sviluppi simili si presentano in pazienti borderline: il pene può assumere le funzioni simboliche della madre che nutre, trattiene o punisce, e la vagina le funzioni della bocca affamata, fonte di nutrimento o aggressiva. L’approccio dei teorici inglesi differisce da quello freudiano in quanto sottolinea il decisivo contributo dei conflitti preedipici, in particolar modo l’aggressività preedipica, nell’eziologia delle perversioni, pur continuando a sottolineare l’importanza dell’angoscia di castrazione nel bloccare la piena manifestazione della sessualità genitale. Tale teoria spiega l’angoscia di castrazione intensa, l’incapacità di identificarsi normalmente con il genitore edipico del medesimo sesso e l’inibizione dell’approccio sessuale a un oggetto del sesso opposto quali derivati dell’“aggressivizzazione” della relazione edipica positiva e negativa e dell’accentuazione fantastica delle angosce di castrazione, in quanto la sessualità genitale diventa il ricettacolo dell’aggressività preedipica spostata.

Dai racconti dei pazienti in terapia risulta spesso molto chiara la correlazione tra questo modello e gli immaginari non onirici dei pazienti, ad esempio riguardo eventuali episodi di impulsi fobici e paranoici. In ogni caso, come terapeuta analitico-archetipico voglio rimettere l’intera storia del paziente nella prospettiva del trauma archetipico e del mito.

Jung e l’Individuazione.

Secondo Jung, la sessualità umana è spiegabile come fenomeno collegato agli archetipi dell’inconscio collettivo[25]. L’Ombra, che in particolare costituisce l’insieme dei caratteri negativi che risiedono nell’inconscio, irrompendo nella coscienza può indurre all’atto inconsueto o considerato diverso e perverso. Jung ritiene che in ogni uomo ci siano aspetti che chiunque considererebbe mostruosi, perversi o criminali, e che ogni individuo sia spinto a non prendere in considerazione tali aspetti dell’anima e a proiettarle sugli altri. L’uomo, quando viene a conoscenza di tali dominanti considerate negative, vuole allora immediatamente distanziarsene: perciò per Jung ogni archetipo è potenzialmente responsabile delle parafilie come di qualsiasi comportamento sessuale. Ad esempio l’archetipo del Fanciullo Divino o del Vecchio Saggio, vissuti come proiezioni assurde, non più controllate dall’Io, possono spiegare diversi comportamenti e orientamenti. L’archetipo dell’Anima (Animus nella donna), o quello dell’Androgino Ermafrodito, possono invece essere impiegati per spiegare l’omosessualità. Quest’ultimo archetipo, infatti, “simboleggiando l’unione dei due opposti, fa somigliare l’omosessuale ad un personaggio che più degli altri si avvicina alla completezza spirituale, già menzionata da Platone nel suo “Uomo Sferico”[26].

Come già accennato prima, l’impulso biologico a cui Freud assai spesso ridusse la vita psichica fu la sessualità. Freud arricchì questo impulso fondamentale con interessanti figure ed immagini mitiche, come il bambino perverso polimorfo, l’orda primitiva, gli uccisori del padre, il complesso edipico, l’invidia del pene, ecc. Jung entra in scena nella psicologia della sessualità attraverso Freud e la mitologia sessuale che aveva appena riportato in auge. Egli si liberò subito del dogmatismo freudiano e dalla ristrettezza della psicologia biologica classica: da scienziato ne conservò alcuni metodi, osservando attentamente ed oggettivamente la vita della psiche in se stesso e negli altri. Ma era esente dalla tendenza dei suoi predecessori a ridurre tutta la vita psichica a impulsi biologici di sopravvivenza: fame, sete, aggressività, procreazione e così via. Secondo lui, invece, bisognava tener conto di qualche altra forza, di qualche altro impulso. Jung chiamò questa forza “individuazione”, ma questa potrebbe anche essere chiamata un istinto o un impulso fondamentale. Durante tutta la sua opera, Jung mise in evidenza aspetti diversi dell’individuazione: dallo sviluppo dell’individuo psicologico come di un essere differenziato, alla psicologia collettiva generale. In particolare, mise in rilievo l’importanza della coscienza per l’individuazione: sottolineò l’importanza dell’integrazione della coscienza con l’inconscio. Spesso trasse i simboli dell’individuazione dalla religione o dall’alchimia; altre volte mise l’individuazione in stretta relazione con ciò che accade durante l’analisi, ma non stabilì che può aver luogo soltanto in quel caso. L’individuazione non è connessa con la sopravvivenza, tuttavia può presentarsi essa stessa come un impulso fondamentale, come la fame, la sete, l’aggressività e la sessualità: è quasi una costrizione a vivere e a sperimentare, a comprendere e a confrontare tutte le possibilità della propria psiche.

È altresì un impulso ad entrare in relazione con la nostra “scintilla divina” interiore, che Jung chiamò il Sé. Lo scopo dell’individuazione, e il processo stesso, in realtà possono essere rappresentati solo simbolicamente. Ne è un brillante esempio la Divina Commedia di Dante, che passa attraverso precise tappe sulla via dell’individuazione di cui parla Jung: la confessione, cioè la conoscenza dei propri limiti, il ritrovarsi nella “selva oscura”, ovvero conoscere l’Inferno; la chiarificazione e l’autoeducazione come distacco dai limiti e armonizzazione tra i valori della coscienza collettiva e i propri, che è quanto avviene nel Purgatorio; infine la tramutazione, cioè una nuova visione della realtà con la percezione della vita simbolica e l’unificazione tra il piano del vivere e il piano del sentire spirituale che avviene nel Paradiso.

Ciò che rende l’individuazione così importante, è che attraverso essa siamo in grado di comprendere, in modo completamente nuovo, la malattia mentale, la psicopatologia, il comportamento socialmente e sessualmente deviato. Uno dei principali compiti dell’individuazione, è infatti quello di affrontare l’ombra personale, collettiva e archetipale. Si rende necessario così comprendere e tener conto dei nostri opposti ideali personali e collettivi che sono stati soppressi, e poi porsi in relazione con la parte archetipicamente distruttiva, che non può essere ridotta a nient’altro. Un altro compito non meno importante del processo di individuazione è il modo in cui gli uomini trattano il loro lato femminile, e le donne il loro lato maschile, cioè l’affrontare l’Anima o l’Animus. Il confronto con la parte di sesso opposto, e la misteriosa congiunzione con essa, offre la possibilità di sperimentare e comprendere le polarità della psiche e del mondo, di uomo e donna, di uomo e Dio, di bene e male, di conscio e inconscio, di razionale e irrazionale. Naturalmente, la cosiddetta “unione degli opposti” è solo uno dei molti modelli o simboli dello scopo dell’individuazione.

Jung ha messo fortemente in rilievo l’importanza di sogni, delle fantasie, dell’immaginazione attiva, della mitologia religiosa e dell’espressione artistica nel processo di individuazione. Attraverso questi mezzi, possiamo sperimentare i simboli attraverso cui ci individuiamo. Ritornando alla sessualità, essa, come detto, non è solo procreazione, non è solo relazione umana; la sessualità con tutte le sue deviazioni può essere compresa solo come una fantasia di individuazione, una fantasia con simboli che sono così vivi da colpire anche il corpo, da colpire fisiologicamente il corpo umano. Naturalmente il processo di individuazione assume molte forme e la vita sessuale è soltanto una di esse, né superiore né inferiore alle altre. Perciò lo scopo non deve mai essere quello di sostituire la fantasia sessuale con qualche altra cosa. Perfino alle più strane fantasie sessuali bisogna permettere di vivere ed è una perdita per la psiche quando ciò non accade.

Per Jung, la vita sessuale e specialmente le fantasie, con i loro lati perversi e le relative inibizioni, costituiscono un mezzo attraverso cui può aver luogo l’individuazione.  È importante capire perché la vita sessuale degli esseri umani è così varia, cosi piena di deviazioni: nella reale esperienza vissuta, ma specialmente nei sogni e nelle fantasie. L’Ombra, per esempio, il lato oscuro e distruttivo, può essere sperimentato attraverso la sessualità. Ciò non significa che tutti, per trattare con l’Ombra, debbano avere fantasie simili a quelle del famoso marchese De Sade, ma significa che i fenomeni sessuali simili a quelli che l’autore descrive, quando si incontrano nella vita psichica della gente, possono essere compresi soltanto come parte del processo di individuazione che ha luogo nella regione psichica delle divinità sessuali. Considerando ad esempio lo stupro, che si trova molto frequentemente nelle fantasie e nei sogni delle donne, sia negativamente che positivamente è assai importante come fantasia per la psicologia femminile. La violenza sessuale è infatti uno dei grandi temi della mitologia greca. Il tema della violenza carnale ha qualcosa a che fare con il modo brutale ed improvviso in cui lo spirito incontra l’Anima, o per essere più precisi, del modo in cui l’Animus può sopraffare la psiche femminile restìa, ma allo stesso tempo disposta. Ma consideriamo oggi anche l’evidenza che per la dinamica psicologica Animus e Anima sono due concetti ormai superati, e che se esistono una psiche maschile e una psiche femminile, esse sono e accadono insieme contemporaneamente in ogni donna come in ogni uomo, e la differenza per il genere è solo nell’evidenza del carattere esteriore e nella sua espressione più o meno estrovertita. Interiormente, accade che anche nell’uomo accadano volenza e stupro: ad esempio nella masturbazione compulsiva dell’uomo, l’Animus aggredisce e “violenta” l’Anima, o nel linguaggio mitologico della psicologia archetipica, il dio Pan aggredisce e violenta la ninfa. O ancora l’uomo che nella relazione vive la sua sessualità compulsivamente, è agito comunque da un Pan o un Diòniso che come energie psichiche cercano di portare sé stessi oltre il confine del proprio corpo per potersi rappresentare in forma liberatoria attraverso l’altro, in modo da poter essere così riconosciuto e integrato nella coscienza come aspetto proprio.

La psicologia archetipica di James Hillman

Riguardo questo argomento, in un recente articolo abbiamo visto come James Hillman abbia dato delle grandi intuizioni sull’importanza psicologica e la profondità della fantasia dello stupro. I più originali sviluppi del pensiero junghiano si devono infatti a Hillman e alla sua psicologia archetipica, che elegge il luogo costitutivo della psicologia nell’“anima” come prospettiva attraverso cui guardare il mondo interiore. L’inconscio come luogo del rimosso viene qui considerato come un’aberrazione della coscienza monoteista cristiana, che dopo aver trasformato l’Ade, luogo archetipico del mondo infero come profondità della psiche e, quindi, dell’immagine, nell’Inferno cattolico come luogo per antonomasia del peccaminoso, si è vista costretta a ricreare un nuovo sito infernale: appunto l’inconscio. Le manifestazioni di quella che generalmente si definisce parte inconscia della personalità (sogni, fantasie, sintomi, perversioni etc.) oggi non sono più lette in base a concetti di rimozione o di compensazione, ma come immagini dell’Anima, aventi tutte diritto di esistenza nella psiche perché lògos della psiche sulla psiche e per la psiche stessa. Ad esempio, la fantasia dello stupro viene qui letta nel suo significato archetipico, ovvero come preparazione e spinta dell’anima al viaggio nel regno delle profondità ctonie della psiche. Non dobbiamo affatto spaventarci delle forme in cui si presenta la nostra immaginazione perché esse sono anzitutto fonte di riflessione e non devono necessariamente essere letteralizzate. Sono linguaggio dell’anima ed enunciati ontologici su di essa, e in terapia sono preziose poiché esse stesse sono la terapia.

Anche se. come Hillman afferma, l’anima patologizza per sua spontanea natura e l’archetipo è un’afflizione che può portare sofferenza all’io, l’anima dev’essere anzitutto accolta e riconosciuta in tutte le sue forme e caratterizzazioni, perché è proprio questo lo scopo a cui essa tende con i sintomi e le patologie. Nel racconto noi abbiamo la possibilità di rivedere e ri-conoscere le immagini dell’anima, laddove la sua sofferenza troverà uno sfogo adeguato solo nel mito, poiché esso le permetterà di uscire dal fascino della storia personale e dalla nostra fissazione su di essa, e così sarà possibile dare al fatto psichico una nuova collocazione nel mito. Ogni mito accade nella nostra psiche e contiene in sé la propria possibilità individuativa, tracciando un percorso necessariamente costellato di distruzione, coazione, perversione e patologia. Attraverso la sofferenza, lo scopo è proprio quello della comprensione del proprio mito: è sempre la psiche che parla e agisce, e fa parlare e agita noi con essa, affinché attraverso la nostra coscienza essa possa essere riconosciuta e così entrare nel mondo e fare la sua storia. Lo scopo della nostra terapia diventa allora quello di leggere la sessualità, e la sua eventuale sofferenza, nel mito, e non più attraverso un’ottica medica giudicante i suoi atteggiamenti e sintomi. Per mezzo dell’amplificazione nel mito e della somiglianza archetipica (così come esposto in un altro articolo di questo sito), la terapia archetipica consente di gettare nuova luce sulla sessualità, e finalmente di restituirle la giusta considerazione e pure il posto che nel mondo gli spetta. Il compito della psicoterapia, oggi, è in primo luogo quello di ripensare, o meglio, di re-immaginare la psicopatologia come linguaggio dell’anima stessa, esaminando il comportamento con occhio mitico e ascoltando i racconti e le storie del paziente come storie mitiche che la psiche sessuale fa sulla psiche stessa.

(Immagine: Morte di Giacinto, Nicolas Rene Jollain, 1769)


[1] Cfr. ICD-10, parte F66.

[2] Cfr. APA, Use of Diagnoses “Homosexuality” & “Ego-Dystonic Homosexuality, August 27 & 30, 1987.

[3] http://www.apa.org/pi/lgbt/resources/therapeutic-response.pdf

[4] Cfr. APA, Manuale diagnostic e statistico dei disturbi mentali, quinta edizione. Raffaello Cortina Editore, 2014.

[5] Peggy J. Kleinplatz, New directions in sex therapy: innovations and alternatives, Psychology Press, 2001, p. 100.

[6] Susan D. Cochran, Jack Drescher e Eszter Kismödi, Proposed declassification of disease categories related to sexual orientation in the International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (ICD-11), in Bulletin of the World Health Organization, vol. 92, n. 9, 2014, pp. 672–679.

[7] James Nichols, Gay Man Suing Doctor After His ‘Homosexual Behavior’ Is Diagnosed As ‘Chronic Problem’, in The Huffington Post, 14 agosto 2014.

[8] Kar, Comprehensive Textbook of Sexual Medicine, Jaypee Brothers Publishers, 1 gennaio 2005, pp. 177–178.

[9] infochangeindia.org, http://www.infochangeindia.org/agenda4_24.jsp. : «While social attitudes are slowly changing [in India] and the anti-sodomy law is being challenged, mental health professionals in many places still offer therapy to homosexuals.».

[10] APA:Guidelines for Psychotherapy with Lesbian, Gay, & Bisexual Clients.

[11] https://www.apa.org/pi/lgbt/resources/therapeutic-response.pdf « Report of the American Psychological Association Task Force on Appropriate Therapeutic Responses to Sexual Orientation»

[12] Douglas Haldeman, When Sexual and Religious Orientation Collide:Considerations in Working with Conflicted Same-Sex Attracted Male Clients, in The Counseling Psychologist, vol. 32, n. 5, 2004, pp. 691–715.

[13] Etengoff, C. & Daiute, C., (2015). Clinicians’ perspectives of religious families’ and gay men’s negotiation of sexual orientation disclosure and prejudice, Journal of Homosexuality, 62(3), 394-426.

[14] APA, Resolution on Appropriate Affirmative Responses to Sexual Orientation Distress and Change Efforts, 2009,  https://www.apa.org/about/policy/sexual-orientation.pdf .

[15] Cfr. https://www.apa.org/monitor/2009/10/orientation .

[16] Cfr. https://www.apa.org/about/policy/sexual-orientation .

[17] Michael Luo, Some Tormented by Homosexuality Look to a Controversial Therapy, in The New York Times, 12 febbraio 2007, p. 1.

[18] A. Dean Byrd e Olsen, Stony, Homosexuality: Innate and Immutable? (PDF), vol. 14, n. 513, Regent University Law Review, 2002, p. 537.

[19] Cfr. R.J. Stoller (1978), Perversione. La forma erotica dell’odio. Feltrinelli, Milano.

[20] Cfr. R. Von Kraft-Ebing (1886), Psychopathia Sexualis. Edizioni Shor, Milano, 1930.

[21] S. Freud (1905), Tre saggi sulla teoria sessuale. Bollati Boringhieri, Torino, 1970.

[22] S. Freud, S. (1969), Psicoanalisi e sessualità. New Compton, Roma, 1970.

[23] Cfr. W. Fairbairn (1952), Studi psicoanalitici sulla personalità. Bollati Boringhieri, Torino, 1970.

[24] Cfr. D.W. Winnicott (1953), Oggetti transizionali e fenomeni transizionali. Armando Editore, Roma, 1979.

[25] Cfr. C.G. Jung (1980), L’uomo e i suoi simboli. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2009.

[26] Cfr. C.G., Jung (1921), Tipi psicologici. Bollati Boringhieri, Torino, 1996.

2 risposte a ““Essere o non essere (gay): questo è il dilemma””

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