L’omosessualità è un dono per la società

Come tutte le forme di amore, l’omosessualità rimane misteriosa ed elude la nostra piena comprensione. Ma come tutte le forme d’amore, è un desiderio intenso per un attaccamento perduto, quello con la parte archetipica che si sente mancare ma a cui, proprio per questo, si sa di appartenere. Oggi anche la scienza e la psicanalisi, dichiarando apertamente che l’omosessualità è congenita, spontanea e assolutamente naturale, hanno sdoganato gli ultimi pregiudizi negativi sull’omosessualità, dovuti principalmente a due millenni di censura morale e iconoclastia cattolica. È perciò giunto il tempo di ripristinare l’antica saggezza e conoscenza dell’importanza dell’omosessualità per la società e per qualsiasi individuo all’interno di essa. Occorre anzitutto recuperare la consapevolezza che, nel suo desiderare lo stesso sesso, la persona omosessuale è investita da una forma di eros che ha come fine ultimo ed evolutivo quello di riportare la propria sessualità verso l’importanza del proprio sesso, quel sesso che l’uomo e la donna percepiscono da sé e per sé come “perduto”. In questo articolo avanzo l’ipotesi che sarà proprio la reintegrazione dell’omosessualità nella cultura sociale e popolare, ciò che curerà il mondo moderno dalla sua malattia d’amore per l’altro. La società moderna è ancora gravemente afflitta non solo dall’odio e dalla competizione degli uomini verso gli altri uomini, ma dall’odio degli uomini verso le donne. E il rifiuto che oggi molte donne provano verso sé stesse, verso la femminilità e il potenziale materno e generativo, si rispecchia nella paura e nel rifiuto che esse provano sempre più verso gli uomini. Vediamo da vicino perché.

Desiderare significa letteralmente “mancare di stelle” (de- sida), ovvero di quegli archetipi e oggetti dell’anima da cui tuttavia si proviene, e per questo se ne sente la mancanza. Ogni volta che ci sembra che ci manca qualcuno, o di mancare di qualcosa, è in atto un Eros e un desiderare che ci richiama a chi si sente di voler appartenere. Di Eros ci parla Platone nel punto più alto del Simposio: il grande discorso di Socrate che, riportando le parole della sacerdotessa Diotima, racconta della natura doppia del dio, figlio di Poros (Espediente) e Penìa (Povertà), e che si troverebbe a metà tra il mortale e il divino. Platone parla di quell’eros che sarebbe un daimon e consisterebbe nel desiderio di qualcosa di bello e buono che ancora non si possiede. Nell’opera, a quel punto Platone fa pronunciare ad Aristofane un brillante discorso sulla natura degli esseri umani e sull’origine della loro sessualità. Originariamente, l’essere umano era un tutto completo. C’erano tre sessi: maschile, femminile ed androgino, composto per metà dal maschio e per metà dalla femmina. Del tutto autosufficienti e a sé bastanti, tali uomini erano così pieni di sé da sfidare gli dèi, peccando di hybris e portando Zeus all’estrema decisione di folgorarli e scinderli in due individui destinati a un agognato destino: cercare in lungo e in largo la propria metà. L’eros diviene così una tensione a un’Unità originaria: la nostalgia di un’interezza perduta e mai più ritrovabile, giacché, anche se in comunione, le due parti non produrranno mai un intero indissolubile, essendo il Tutto maggiore della somma delle parti. In principio, quindi, c’era un “Uomo Sferico”, cioè un uomo o una donna che non mancavano della loro stessa parte sessuale, sia che fossero etero, omo o androgini. Che ruolo ha in tutto questo l’omosessualità? Facciamo attenzione a ciò che scrive Platone:

“Quelli che sono una delle parti di un antico maschio, e finché sono ragazzi, poiché sono parti di un maschio, amano gli uomini e godono nel giacere e nello stare abbracciati ad essi – e questi sono i migliori tra i ragazzi e gli adolescenti, perché per natura sono i più virili”.

Come al solito, ritroviamo nel mito già tutte le caratteristiche che metaforicamente descrivono lo stato del nostro essere psicologico. Gli dèi, come forze psichiche a cui gli esseri umani sono soggetti, descrivono quelle caratteristiche inconsce che esistono da prima di noi e che in noi agiscono sin dall’origine della nostra coscienza, determinandone poi il funzionamento. Vediamo già come non solo l’omosessualità sia una forma di sessualità congenita e legittima come le altre, ma, come le altre, sia decisa “divinamente” e non arbitrariamente. Inoltre, per la prima volta nella storia della nostra filosofia, Platone offre una legittimazione all’omosessualità senza che questa passi per promiscuità, disadattamento o deviazione. Anzi, è lo stesso Platone a parlare dell’amore come ricerca dalla propria originaria natura: non c’è nulla di più normale dell’uomo che cerca il suo uomo o della donna che cerca la sua donna. Platone scrive che i giovani gay sono “i migliori… perché per natura sono i più virili”. Per intendere in che senso i gay siano i più virili, dobbiamo rifarci all’etimologia della parola, che deriva dalle parole latine vir e vis, rispettivamente “uomo” e “forza”. I gay sarebbero “più virili” se visti nella concezione dell’Uomo Sferico, ovvero “più uomini” e in questo senso “più forti” in quanto originari di uno stesso sesso “per intero”. All’omosessuale effettivamente non manca l’altro sesso per vivere e manifestare la propria sessualità, e può quindi avvicinarvisi senza essere nella mancanza, nella pena o nel desiderio. A differenza dell’etero, l’omo può vivere la propria sessualità in modo più diretto in quanto già parzialmente conosce il corpo delle persone del proprio sesso. L’etero, che è colui che invece proviene da una natura sessuale androgina o “doppia”, ed essendo originariamente sia uomo che donna necessita di un confronto continuo con l’altro sesso che tende a confermare la propria appartenenza e “aderenza” al proprio sesso, anche con rituali e stereotipi di genere. L’omosessuale, invece, si confronta sin da subito con una sessualità libera da schemi eteristi e genderistici, ma rischia poi di desiderare di farne parte qualora si senta emarginato ed osteggiato socialmente. La razionalizzazione filosofica di Platone è davvero interessante, perché l’unione omosessuale viene invece presentata come più forte e sana, e come naturale principio di felicità e realizzazione. Addirittura leggiamo, a proposito dell’amore tra uomini:

“In verità, alcuni sostengono che sono degli impudenti, ma mentono, perché essi non fanno questo per impudenza, ma per arditezza, per fortezza e per virilità, in quanto hanno inclinazione verso ciò che è simile a loro. […] E quando siano diventati uomini si innamorano dei ragazzi e non si preoccupano delle nozze e della procreazione dei figli per loro natura, ma sono costretti a far questo per legge” (192B).

In altre parole, Platone afferma che, al contrario dell’omosessualità, l’eterosessualità non è tanto una necessità naturale, così come non lo è nemmeno la procreazione, ma queste sono norme giuridiche e quindi un prodotto dell’ethos della polis, una convenzione sociale. L’omosessualità è invece la condizione erotica più “naturale” di tutte, perché se l’amore è tensione all’Unità, il desiderare lo stesso sesso conferma e fortifica l’anima. Naturalmente, non dobbiamo ricercare il significato della concezione dell’Uomo Sferico nella genetica, perché è un archetipo dell’inconscio collettivo. La scienza, dal canto suo, ha già da tempo dimostrato che l’omosessualità è congenita proprio come l’eterosessualità, e allo stesso modo in genere si manifesta già in primissima età, tra i 4 e i 6 anni, come la maggior parte dei gay e delle lesbiche pure riferisce. Il fatto che un orientamento omosessuale derivi dal ricercare il proprio stesso sesso, archetipicamente significa che l’immagine dell’oggetto desiderato è sempre la propria, e che ognuno cerca sé stesso nell’altro, cerca una parte di sé a cui inconsciamente sente di appartenere. La psicanalisi ha spesso travisato questa immagine in quella del padre per i gay. Ad esempio, Richard A. Isay in Essere omosessuali (1989), il saggio forse ad oggi più importante sulla psicologia dell’omosessualità, nonostante una psicanalisi decisamente ben più aperta e paritaria dell’omosessualità, tuttavia riconduce sempre alle imago parentali le condizioni di confronto e formazione della propria sessualità, tirando le conclusioni del suo lavoro coi pazienti con la stessa idea archetipica che i pazienti spesso riferiscono, ovvero che i gay desiderano inconsciamente il padre. Questo è il tipico errore sia della psicanalisi classica freudiana, sia del metodo scientifico: quello di ricondurre la propria essenza a delle cause, di spiegare il nostro modo di essere come effetto di ciò che ci è accaduti prima nella famiglia. Già avevamo Platone, Kant e tutti coloro che hanno riconosciuto l’importanza non tanto della causa e del causalismo, ma del fine e della finalità verso cui tende ogni nostra condizione psichica originaria, e della simultaneità con cui questa condizione si verifica. Oggi soprattutto abbiamo Jung e Hillman che hanno recuperato e descritto la nostra sessualità come archetipi, forme primigenie dell’essere che determinano la nostra vita al di sopra di tutto, per cui non abbiamo bisogno di continuare a dare la colpa ai nostri genitori, al tabù dell’incesto e al loro comportamento in vita per spiegare esaurientemente il nostro orientamento sessuale come loro conseguenza. Seguendo la nostra configurazione archetipica, possiamo riconoscere che i gay cercano non il padre, ma il proprio maschio interiore, così come le lesbiche cercano la propria donna interiore.

Il mito dell’Uomo Sferico o dell’Androgino ha altre notevoli implicazioni. Anzitutto, anche gli etero, derivati dall’essere originariamente androgini, cercano la metà sessuale che sentono di mancare, a prescindere da quella manifestata fuori nei propri caratteri sessuali. Un etero può quindi transitare, nella propria vita, il desiderio e la ricerca sia dell’uomo che della donna, ovvero di entrambi i sessi a cui originariamente apparteneva. Questo spiega non solo il motivo perché gli etero non raramente rimangono affascinati da persone dello stesso sesso, ma anche la scoperta di essere bisessuali e l’incertezza continua che questo comporta. In un altro articolo, seguendo un altro mito, quello di Tiresia, ho parlato del bisessualismo (puoi leggero QUI). In questo articolo mi preme invece parlare delle circostanze psicosociali per cui, nel mondo moderno post-cattolico, la perdita del riconoscimento del valore archetipico dell’omosessualità determina il perché siano gli etero, soprattutto gli uomini ma anche le donne, a protrarre gli atteggiamenti più marcati e violenti di rifiuto e paura nei confronti del sesso opposto. Jung diceva che il motivo per cui gli uomini etero odiano le donne è perché odiano “la donna” dentro di loro, cioè l’Anima, l’immagine archetipica della donna che essi possiedono; e questo distacco è complementare nella donna etero, che percepisce l’Animus come ostile, ovvero si distacca fortemente dall’immagine archetipica dell’uomo che essa porta dentro di sé. Come Neumann, Jung finiva a spiegare questa opposizione alla storica lotta del patriarcato contro il precedente matriarcato. Freud, a sua volta, lo spiegava in base al tabù dell’incesto e al complesso di Edipo. La nostra visione necessita d’essere ben più ampia che solo eterofila e contrasessuale, perché purtroppo partiamo da una constatazione di fatto: oggi non solo molti uomini etero continuano a odiare le donne, ma sempre più donne etero odiano gli uomini, e così in modo analogo anche tantissimi gay finiscono per odiare il proprio essere uomini, e nel proprio stesso desiderio anche moltissime lesbiche finiscono a odiare il proprio essere donne. Ognuno cerca sé stesso nell’altro, ma ognuno finisce per odiare la controparte che desidera, sia omo che etero: perché?

La mia tesi, che fondo sul mito platonico, è che il rifiuto e la rimozione dell’omosessualità potenzialmente intrinseca a ogni essere umano sia la circostanza principale in cui un sesso si oppone contro il sesso che desidera, o di cui sente la mancanza. Il valore dell’omosessualità come fonte di benessere e sostegno per la vita e per la società, rimasto ancora così distante e sconosciuto alla moltitudine, genera negli etero un odi et amo nei confronti del proprio stesso oggetto del desiderio, una malattia dell’amore per sé stessi e per ciò che si sente come mancante o diverso, e negli omo l’odio si rivolge proprio verso sé stessi e la propria immagine di uomo o donna perché a non essere riconosciuto è proprio il valore dell’amare l’immagine di sé stessi e il proprio sesso. Molte allegorie alchemiche spiegano questo odi et amo, almeno tutte quelle che pongono l’ambivalenza della coniunctio oppositorum. Per cui, fondamentalmente, l’omosessualità insegna a tutti, anche e soprattutto agli etero che maggiormente protraggono la loro violenza contro il sesso nei dibattiti politici e nella cultura sociale delle masse, che l’orientamento sessuale dipende da ciò che la nostra stessa anima ha bisogno di accogliere e di riconoscere della sua stessa natura, ma che essere “più virili” o “più femminili” non ha nulla a che vedere con le caratteristiche fisiche espresse dal proprio sesso, né con l’orientamento eterosessuale. In verità, si è più virili o più femminili quando si è liberi di amare spontaneamente, senza norme sociali né imposizioni morali, e l’eterosessaulità in questo senso appare come la condizione più “debole” e “innaturale”, quella che la società ha infatti per prima regolamentato. L’omosessualità mostra un eros libero da stereotipi e pregiudizi, per questo laddove la sessualità è un tabù cresce l’odio e la paura verso l’omosessualità. Oggi non siamo ancora pronti ad accettare questa verità profonda del nostro essere sulla sessualità, giacché ancora crediamo perlopiù nel contrario, ovvero che la sessualità debba essere regolata, regolamentata, e che le nascite debbano essere in qualche modo “protette”. Il risultato è ancora una generale e radicata diffidenza verso la sessualità libera e l’omosessualità in particolare, che viene ancora temuta e tenuta come fosse l’unico vero tabù. Accettare l’omosessualità significa sdoganare proprio la sessualità come scissa dalla procreazione e dal pudore, dai pregiudizi e dagli odi, e quindi può curare i mali che la società si autoinfligge regolamentando e controllando moralmente la sessualità della gente. Basta guardare ai fatti di cronaca che vedono sempre più in guerra uomini e donne, da una parte, e gli stereotipi e pregiudizi ancora fortemente presenti sull’omosessualità e addirittura assorbiti passivamente dagli stessi gay e lesbiche, dall’altra, per rendersi conto che continuando a spiegare il rapporto tra i sessi soltanto sulla base dell’eterosessualità, i conti non tornano affatto.

Come accennato, Jung vide nell’anima umana una prevalenza dell’immagine sessualmente opposta, che definì nell’archetipo dell’Anima nell’uomo, e dell’Animus nella donna. Spiegava poi l’omosessualità come costellazione dell’archetipo dell’Androgino Ermafrodito, simile all’ “Uomo Sferico” di Platone. Il problema sta nel fatto che gli junghiani hanno finito per scambiare l’eterosessualità come condizione di “Unità” per eccellenza, e il gay con l’Androgino, interpretato invece come risultato della coniunctio oppositorum tra Animus e Anima degli etero, finendo per inquadrare l’omosessuale ancora una volta come colui che costella l’Anima o l’Animus come negli etero. Se seguiamo il mito platonico, ci rendiamo facilmente conto dell’errore: sono gli eterosessuali, non i gay, che costellano l’archetipo dell’Androgino! Ragion per cui poi molti analisti continuano a parlare di maschile e femminile come oggetto del desiderio dell’altro e non “proprio”, proiettando la loro confusione sessuale sui pazienti e confondendoli ulteriormente nella fantomatica caratterizzazione di qualcosa che gli etero avrebbero dentro di sé, ma in forma “attiva” o “passiva”. È infatti sull’essere più attivi o passivi, che vedo continuamente i pazienti gay irretirsi e come costretti a “schierarsi” ed etichettarsi per sentirsi qualche cosa di definito sempre all’interno dello schema eterista che concepisce soltanto l’unione tra un maschile e un femminile. I più colpiti dalla vessazione psicanalitica del modello eterista sono stati proprio gli omosessuali (ne parlo in un altro articolo che puoi leggere QUI). Quando l’analista dice ad esempio al paziente gay “stai cercando fuori di te il maschile che è in te”… riportano tutto inevitabilmente al modello eterista junghiano, quello di Animus-Anima, della “unione degli opposti” e dell’omosessuale presunto Androgino Ermafrodita, senza rendersi conto che in realtà ciò che ognuno desidera è l’immagine non di ciò che non è, ma di ciò che già è. Così, succede che i gay continueranno a credere di essere meno virili e meno legittimi degli uomini etero, e le lesbiche di aver qualcosa in meno rispetto alle donne etero. Invece, dovremmo tornare a considerare l’omosessualità come un orientamento più forte e libero rispetto all’etero, ma forse è proprio per questo che per gli etero l’omosessualità è diventata un complesso sociale.

Già negli anni 70 il sociologo Edward Wilson aveva suggerito che l’omosessualità potesse essere un tratto non solo normale, ma che si era evoluto e mantenuto nell’evoluzione come un importante fattore già dalle prime organizzazioni sociali umane. Gli omo possono essere i portatori di alcuni sempre più rari impulsi altruistici del genere umano. In On human nature (1978), Wilson definisce l’altruismo come qualcosa che aumenta l’idoneità riproduttiva di un altro a spese del proprio benessere. Ad esempio, i gay che non hanno figli, se socialmente accettati, si prendono spontaneamente cura, anche economicamente, dei parenti, degli amici e di tutta quella “famiglia allargata” di cui oggi abbiamo ancora tanta paura ingiustificata, ma che in verità ne aumenterebbe anche proprio geneticamente la riproduttività e l’adattamento. Ma abbiamo detto che, almeno in psicologia, non dobbiamo pensare troppo in termini scientifici ma archetipici, cioè spiegare la sessualità come psiche e fantasia, e non soltanto come materia e biologia. Non ci sono prove dell’idea di una selezione di parentela come modo di tramettere un gene dell’omosessualità. La scienza, al pari della psicanalisi classica, tende a credere pure che un uomo o una donna non possano essere omo senza anche essere o sentirsi effemminati o mascolini rispettivamente. Una cosa è certa: nessuno dei miei pazienti, come nessuno dei pazienti omo di altri colleghi che conosco, ha mai provato alcuna confusione o preoccupazione circa il sesso a cui apparteneva. Semmai, ben più frequente è la confusione che gli omo riscontrano circa il loro ruolo nella società e la dignità del proprio orientamento e del proprio modo di vivere la sessualità. Sarebbe a dire, gli omosessuali vengono in terapia perché sono persone perlopiù sane che si sentono malate, o che si ammalano psicologicamente a causa dell’educazione e del pregiudizio sociale su di essi. Allora, capiamo che il male non risiede affatto nell’omosessualità, ma nel mondo che la combatte.

L’esperienza clinica indica infatti che, mentre l’ambiente circostante ha un’influenza notevole sul modo in cui la sessualità viene espressa, ha invece una minima influenza sull’orientamento sessuale. Al contrario di quanto certe campagne politiche e certe manipolazioni psicologiche vogliono farci credere, non si diventa gay o lesbiche per cause familiari, né per moda o per volizione, ma per natura e costituzione. Se l’orientamento sessuale si presenta già deciso alla nascita, il modo in cui esso viene espresso ha invece molteplici origini e progressioni, che possono essere influenzate da una varietà di esperienze e condizioni ambientali, culturali e sociali. Un ragazzo che cresce con una madre dominante, o con un padre assente, avrà le stesse probabilità di diventare gay che avrebbe avuto se fosse stato cresciuto da una madre e da un padre in grado di promuovere la sua crescita e il suo sviluppo. Tuttavia, è probabile che questo bambino da adulto, sia gay che etero, svilupperà relazioni intime piene di rabbia verso gli altri, che nella sua mente lo minacciano di oppressione o di costrizione. Ma dobbiamo riconoscere che, da adulto, sono la paura del rifiuto e l’incertezza verso la propria esistenza che lo stanno ferendo emotivamente. Lui o lei ci parleranno, a volte, dei problemi col padre e con la madre, ma non dovremmo cedere alla tentazione logica e semplicistica di incolpare i genitori per le loro mancanze od oppressioni, perché le imago parentali sono e saranno sempre presenti come fantasie archetipiche nella mente di ogni paziente. Semmai sarà facile ritrovare benessere e realizzazione qualora si lavori sulle immagini dei genitori transpersonali evidentemente presenti ma egodistoniche e carenti da questo punto di vista, ad esempio il Pater “padre” proiettato nello Stato e nella Legge assenti, e la Mater o “madre” società o città ambigue, terribili o non accoglienti. I fattori culturali e sociali facilitano o inibiscono l’espressione del comportamento sessuale congenito. Nella nostra società, certamente, i comportamenti omosessuali sono complessivamente ancora troppo etichettati come “cattivi” o “effemminati” o “snaturati” e così via, il che influenza il modo in cui gli omo si autopercepiscono e la naturalità con cui esprimono il loro comportamento sessuale, fino a inibirlo e compromettere la loro salute psichica.

Ciò che accomuna i gay e le lesbiche, e che può essere ricondotto alla “forza” di cui parlava Platone, è una spiccata sensibilità, che essi riferiscono di aver percepito in genere già da molto piccoli rispetto agli altri bambini. Ebbene, questa non dev’essere scambiata soltanto per femminilità, per esempio un aspetto della presenza della donna nell’uomo gay. Dobbiamo combattere lo stereotipo che solo la donna sia ipersensibile, e l’uomo iposensibile, e che la sensibilità sia associata alla debolezza come caratteristica del femminile, mentre la forza sia una caratteristica del maschile: sono cazzate in cui abbiamo creduto per secoli, e che sia la storia che la scienza non hanno mai potuto dimostrare. Il mito, come sempre, ci dimostra che omosessualità e bisessualità, erano da sempre associati a una grandissima forza energetica e psichica, e che la sensibilità faceva parte proprio di questa forza.

Diòniso, il dio che visse la propria gestazione all’interno della coscia di suo padre Zeus, e che da lui fu sempre protetto e persino risorto, viene considerato il protettore dell’ermafroditismo e del travestitismo. Era un dio potentissimo, e aveva sia una grande dolcezza che la forza delle fiere più grandi e feroci. Guarda caso, Diòniso è anche il dio lunare del sentimento. Altre divinità sono a volte considerate patroni dell’amore omosessuale, come la stessa dea Afrodite e le figure divine presenti nel suo seguito, come gli Eroti: Eros, Anteros, Pothos e Himeros. Il primo di questi fa anche parte di una trinità religiosa che recitava dei ruoli fondativi nelle relazioni omoerotiche, insieme a Eracle ed Ermes, che conferivano qualità di bellezza, lealtà, forza ed eloquenza, rispettivamente, agli amanti maschi. Nella poesia di Saffo, la dea dell’amore e della bellezza Afrodite viene identificata anche come la patrona e protettrice delle lesbiche. Sono tantissime le coppie omosessuali della mitologia classica: per elencarle tutte ci vorrebbe un libro intero. Basterà citarne alcune tra le più famose: Achille e Patroclo, Agamennone e Argenno, Agataida e Falanto, i vari amori gay di Apollo (come Carno, Ciparisso, Giacinto e Imene), Cicno e Fetonte, Crisisppo e Laio, Pan e Dafni, Eracle (Ercole) e Abdero, Ila, Iolao, Ermes e Croco e pure Perseo, Eurialo e Niso, Euribaro e Alcioneo, Orfeo e i Traci o Calaide, Polido e Glauco, Poseidone e Nerito, e ancora Giacinto con Tamiri e Zefiro, ma anche il padre degli dèi Zeus con Callisto e Ganimede. La psicologia archetipica deve interessarsi di più ai miti omosessuali e portarli più spesso in terapia allo scopo di cessare l’uso modellistico della concezione dualistica di un desiderio sessuale come unione tra un maschile-uomo e un femminile-donna, reiterando sempre una sessuologia eterista basata su una sola “coppia archetipica” del sesso, ovvero Venere e Marte. No, sessualmente gli uomini non vengono da Marte e le donne non vengono da Venere: anche questo è uno stereotipo ancora gravemente incistato nella stessa psicanalisi, oltre che nella cultura popolare. Ci sono tantissimi motivi per cui, ad esempio, un uomo può esprimere la sua forza virile anche attraverso caratteristiche solitamente associate alla “femminilità”, o una donna può essere sessualmente aggressiva e violenta proprio come di solito viene invece considerato l’uomo.

Nelle narrazioni della mitologia classica è presente anche il tema del cambio di sesso, come nel mito di Tiresia. La ragione del cambiamento è varia ma sempre voluta dagli dèi, come nel caso di Siproite, un cacciatore cretese che fu trasformato in donna da Artemide dopo averne violato l’intimità, avendola vista mentre si stava facendo il bagno. In alcuni miti vi era anche un motivo per cui una donna doveva vestirsi o camuffarsi da maschio, e in seguito veniva trasformata essa stessa in un maschio biologico da forze misteriose, principalmente sempre divine. Questi miti raccontano di una sessualità in transizione, dove l’io non può fare altro che assecondarla invece di contrastarla, e sono davvero interessanti per comprendere e curare la disforia di genere. Nel cambiamento di sesso, la letteralizzazione della transizione della sessualità può essere complicata, anziche coadiuvata, dagli stereotipi di genere, e l’accettazione dell’omosessualità nella società sarebbe fondamentale anche per curare gli stereotipi e i pregiudizi sul transessualismo.

Lo spirito e l’energia aggressivi sono elementi essenziali di entrambi i sessi, ma in una società maschilista tendono a essere attribuiti più agli uomini che alle donne, e ad essere maggiormente valorizzati rispetto all’amore, alla sensibilità, al sentimento, alla generosità, all’altruismo. Gli omosessuali dimostrano di possedere tutte queste caratteristiche al pari di uomini e donne. Nelle società come la nostra dove le donne sono temute, discriminate e sottomesse perché gli uomini hanno paura di essere “contaminati” o “inquinati” dai caratteri femminili, i tratti considerati “femminili” nel genere maschile, come la sensibilità e l’altruismo, sono inevitabilmente disprezzati. Al contrario, laddove gli uomini stimano la natura considerata “femminile” che è anche in loro stessi, l’eventualità che un uomo presenti dei tratti di personalità più simili a quelli dell’altro sesso non viene considerata un fatto negativo, e l’omosessualità non viene condannata ma valorizzata. Gli omosessuali dimostrano agli uomini che i caratteri solitamente associati (erroneamente) alla femminilità gli appartengono per natura, e fanno gran parte della sua forza virile.

Parallelamente agli uomini, le donne stanno sempre più stigmatizzando l’odio e la violenza degli uomini, generando uno stato di allarme e diffidenza continuo, che spesso sfocia in campagne mediatiche pericolose come le cacce ai narcisisti e i vari rigurgiti violenti femministi. Laddove le donne considerano come tipicamente “femminili” i suddetti tratti, e invece tipicamente “maschili” quelli della forza, della violenza, dell’odio e dell’aggressività, è anche la stessa donna a odiare e rifiutare dentro e fuori di sé queste caratteristiche. Così si protrae un pregiudizio femminista su ciò che è “femminile”, che è analogo a quello maschilista sul “maschile”, e che perlopiù non fa altro che confermarlo. La situazione sociale prevalentemente in atto ad oggi nel nostro Paese è ancora questa, nonostante vi sia una sempre più evidente necessità di riscoprire il valore della diversità come forza e ricchezza, e della libertà di espressione del proprio comportamento sessuale e del proprio modo di essere e di sentire.

D’altro canto, l’omofobia è legata proprio a questa lotta tra gli uomini e le donne, e, più in generale, al pregiudizio sessista che ci siano caratteristiche “femminili” non desiderabili negli uomini, e caratteristiche “maschili” non desiderabili nella donna. Portando avanti la nostra concezione sessista ed eterista di ciò che sarebbe “maschile” contro ciò che sarebbe “femminile”, noi non facciamo altro che ammalare ancora di più il mondo, mentre in verità ciò non ha nulla a che fare con la definizione della propria sessualità o del proprio genere sessuale. In un quadro di generale conflitto e indecisione, ma anche di nuova consapevolezza, tornare alla visione archetipica di Platone sull’omosessualità sarebbe la soluzione più spontanea e naturale per risolvere il conflitto tra uomini e donne. Non sfruttando la sessualità e il confronto tra i sessi per confermare il proprio bisogno sociale di identità, integrazione e integrità morale, l’omosessualità propone l’utilizzo del sesso in forma del tutto “naturale” e in generale una sessualità libera da stereotipi e pregiudizi. L’omosessualità ci invita da sempre ad essere eroticamente più sensibili, creativi e disinibiti. Il modello dell’Uomo Sferico invita ad accettare la consapevolezza che proprio attraverso la sessualità, e al di sopra di ogni altro aspetto, gli esseri umani cercano a priori e desiderano nella vita un’unità e una completezza a cui sentono di appartenere, aldilà di ogni comportamento e caratteristica che possano essere invece sessualmente stereotipizzati e stigmatizzati.

La nostra società non vuole ancora dare ai gay la piena possibilità di costruire delle relazioni stabili, socialmente e istituzionalmente responsabili, e mutualmente gratificanti; nella maggior parte della cultura occidentale tali relazioni sono ancora viste come una seria minaccia e un oltraggio al senso di virilità dei maschi e di femminilità delle femmine. Succede quindi che gli omosessuali finiscano per apprendere di essere “da meno” degli etero, specialmente se stanno soli o se si ritrovano a dover nascondere il proprio comportamento sessuale, se non si sposano o se non hanno figli, ma anche se vivono la sessualità in modo ampio e profondo da risultare stereotipicamente come “più complessa” o “promiscua” rispetto a quella degli etero di loro conoscenza. ragion per cui spesso entrano in analisi credendo di essere malati o posseduti dal demonio, ipocondriaci o depressi, sentendo che gli manca qualcosa nella vita che poi difficilmente riescono a inquadrare o definire anche nell’analisi che segua un modello eterista o che sottintende la divisione tra i sessi e le relative caratteristiche attribuite. Molti gay, tuttavia, sono estremamente dotati nella capacità di inquadrare le componenti sessuali sottese alle problematiche psicosociali individuali e collettive, ragion per cui sono spesso ottimi confidenti per gli amici, per loro quasi degli “psicologi”. Ciò risente del loro importantissimo ruolo sociale, ancora oggi disconosciuto: quello di supporto, sviluppo e integrazione. Ogni discorso sessista, che ad esempio identifichi gli uomini come parte machile attiva e le donne come parte femminile passiva della società, tende a turbare gravemente gli omosessuali, ma sdoganate queste tematiche in terapia, essi si aprono in modo più coraggioso e decisivo al loro ruolo nella società e nella coppia, dimostrando di aprirsi anche a nuove possibilità e modalità all’interno della relazione. Quando giungerà il momento in cui le relazioni tra i gay saranno incoraggiate, quando uomini e donne omosessuali non dovranno più spendere così tanta energia e tempo nel nascondere e camuffare sé stessi e nel trovare modi segreti per esprimere il loro amore, la loro sensibilità e la loro forza sessuale, allora ci sarà una liberazione di energia creativa e solidarietà da cui trarrà beneficio tutta la società.

Commenti

Lascia un commento

Potrebbe anche piacerti: