Quale dio agisce nella tua sessualità?

Premetto anzitutto che, finché non violi la volontà e non comprometta la salute psicofisica di un individuo, qualsiasi forma di desiderio e comportamento sessuale è accettabile e, nella psiche, ha un senso e un significato simbolico preciso. Il termine “perverso” è stato già cancellato dalla nosografia psichiatrica, e tende a scomparire anche dal linguaggio psicoanalitico. Oggi non si parla più di perversione ma di “parafilie”. Il termine “parafilia” è neutro e sprovvisto di connotazioni morali, quindi lontano dal sospetto di voler etichettare le persone con una diversa forma di sessualità come malvagi o spregevoli.

Come Sigmund Freud fece notare per primo (1905), elementi di sessualità polimorfa fanno parte della vita sessuale di ognuno e, in molti casi è molto difficile tracciare una linea divisoria tra ciò che puo’ essere considerato “normale” e “anormale” nello sviluppo e nella vita sessuale di ciascun individuo. Nel tempo, gli studi sulla sessualità si sono ripuliti dagli stereotipi di genere e dai pregiudizi socioculturali, e il concetto stesso di devianza sessuale è stato ricondotto alla trasgressione e al riconoscimento di un bisogno psicologico negato. Per Stoller (1975), l’azione è perversa quando l’eccitazione erotica dipende dalla sensazione che l’individuo ha di commettere peccato. Proprio la nozione di “peccato” è centrale nella parafilia, perché sottolinea la percezione soggettiva dell’azione trasgressiva da cui nasce il piacere. Ma già Krafft-Ebing (1886) aveva capito che le quelle fino ra considerate come aberrazioni sessuali erano comportamenti determinati inconsciamente e la cui insorgenza aveva luogo già in episodi dell’infanzia. Egli capì, infatti, che un accadimento dell’infanzia comunemente creduto come “traumatico”, come ad esempio l’eccitamento di essere picchiato del piccolo Rousseau (citato anche da Freud), era in realtà solo un fattore secondario nell’eziologia del masochismo, l’occasione per il suo emergere piuttosto che la sua causa scatenante, e intuì che le fantasie masturbatorie nell’infanzia sono il serbatoio simbolico dello sviluppo della sessualità in età adulta.

Nel 1991 la Kaplan scrive nel suo libro “Perversioni femminili” che “ciò che distingue una perversione è la sua qualità di disperazione e fissazione” , nel senso in cui una performance “perversa” è quella interpretata da chi non ha altre scelte, da chi, altrimenti, sarebbe sopraffatto dall’ansia o dalla depressione o dalla psicosi. Nei fatti, la devianza serve per “deviare” l’atteggiamento comune e cosi placare i “demoni personali” interiori, e diventa la preoccupazione centrale della vita del perverso. Insomma la perversione sarebbe una strategia psicologica inconscia atta a sopravvivere e, più ancora, per poter vivere con la sensazione di trionfare sui traumi dell’infanzia. Capiamo allora come sia una stessa cultura ed educazione proibizionista, giudicante e normalizzante la sessualità, la principale fonte della perversione stessa. La nostra “cura” alla sessualità va quindi principalmente rivolta oggi alla società e alla cultura dominante, nei suoi stereotipi e pregiudizi ancora fortemente omofobi e paternalistici, e alla fobìa socioculturale di ciò che è diverso.

Secondo Carl Gustav Jung (1912), quella considerata come perversione è un agìto spiegabile tramite la costellazione di determinati archetipi dell’inconscio collettivo. Anzitutto, l’Ombra costituisce l’insieme dei caratteri considerati “negativi” dalla nostra coscienza e dal nostro giudizio morale, e che non accettandoli in noi stessi risiedono in una zona complessuale dell’inconscio; irrompendo nella coscienza, possono indurre all’atto “perverso” in quanto fuori controllo. Jung ritiene che dentro ognuno di noi ci sia quello che ai nostri occhi viene visto come “un mostro”, “un perverso”, “un criminale”, “un ladro” e così via per ogni aspetto di sé che un individuo è spinto a rifiutare e a non prendere in considerazione. Questi aspetti della nostra psiche non possono essere cancellati né invero scomparire, per cui vengono proiettati sugli altri e in essi perseguitati e giudicati negativamente. Per Jung ogni archetipo, ovvero ogni forma primigena di energia psichica rappresentata nella psiche, è potenzialmente responsabile di una possibile perversione qualora ricada nell’Ombra e gli sia impedito di entrare nella coscienza, cioè di essere agito e sperimentato consapevolmente nella propria vita quotidiana. Ad esempio, l’archetipo del Puer o del Fanciullo Divino, vissuto come proiezione assurda e incontrollata nell’uomo, puo’ spiegare la fantasìa erotica di compiere atti sessuali con una donna-Madre o di vincere la sua volontà e il suo desiderio, portando l’uomo al narcisismo; oppure l’archetipo del Padre o del Vecchio Saggio possono portare a sviluppare il desiderio di unirsi a minorenni e a persone di età molto inferiore. Costellazioni archetipiche diffuse sarebbero quelle dell’archetipo dell’Anima (o Animus nella donna), e dell’archetipo dell’Androgino/Ermafrodito, che possono attivare e spiegare diverse forme di omosessualità o bisessualità latenti. Quest’ultimo archetipo, ad esempio, simboleggiando l’unione dei due opposti in una sola persona, fa somigliare l’omosessuale ad un personaggio che più degli altri si avvicina alla completezza spirituale, già menzionata da Platone nel suo “Uomo Sferico”.

Qui c’è da fare una precisazione importante. Come afferma già Neumann (1949), se la disposizione di ogni individuo tende alla bisessualità sia fisica che psichica, l’evoluzione differenziante della nostra cultura lo costringe a respingere nell’inconscio l’elemento controsessuale: cultura dominante e società, nonché i nostri genitori per primi, ci inducono inconsciamente a riconoscere come “nostri” solo quegli aspetti che corrispondono ai caratteri sessuali esterni e che si adeguano alla valutazione collettiva. Ad esempio, nella nostra cultura, soprattutto fino al riconoscimento dei diritti LGBT, i tratti “femminei” o “sentimentali” del bambino sono stigmatizzati tanto quanto quelli “mascolini” della bambina. Un’accentuazione così unilaterale del proprio sesso finisce per costellare nell’inconscio l’aspetto controsessuale sottoforma dell’archetipo dell’Anima/Animus. Questi, come elementi parziali della psiche censurati dal proprio io, rimangono inconsci e così dominano e agoscono l’individuo e il rapporto tra io e inconscio. Questo processo, laddove stimolato dal collettivo, induce una sempre più difficile rimozione dell’aspetto controsessuale e inizialmente si accompagna a delle tipiche forme di ostilità per il sesso opposto, come il bullismo e il nazismo. Le proiezioni archetipiche più importanti in questo periodo diventano proprio quelle, per l’uomo dell’Anima sulla donna, e per la donna dell’Animus sull’uomo: in pratica, le imago del sesso opposto vengono proiettate sull’immagine dell’altr@ e inseguite su di ess@ nel mondo. In tal modo, questi archetipi costellano il problema del partner sessuale vs. partner d’amore, il tema principale della prima metà della vita.

I più originali sviluppi del pensiero junghiano si devono a James Hillman, che elegge il luogo costitutivo della psicologia nell’ “anima” come finestra attraverso la quale guardare il mondo interiore. L’inconscio può essere considerato come un’aberrazione della coscienza monoteista che, dopo aver trasformato l’Ade (luogo archetipico del mondo infero e, quindi, dell’immagine) in Inferno (luogo per antonomasia del peccaminoso), si è vista costretta a ricreare un nuovo sito infernale: l’inconscio, appunto. Hillman compie una re-visione della psicologia: da lui in poi le manifestazioni di quella che generalmente si definisce parte inconscia della personalità (sogni, fantasie, sintomi, perversioni etc.) non saranno più lette in base a concetti di rimozione o di compensazione, ma, per esempio, come metafore di una “preparazione dell’anima alla morte”, ovvero il mitologico “viaggio nell’Ade” (1979). Hillman afferma, inoltre, che l’archetipo è un’afflizione (pathos) dell’anima e che questo può portare sofferenza, sintomi e malattie. Questa sofferenza troverà uno sfogo adeguato solo nel racconto del mito, poiché esso le permetterà di uscire dal fascino della storia personale e darà al fatto psichico una nuova collocazione. Ogni mito contiene in sé la propria possibilità individuativa, traccia un percorso costellato anche di distruzione, coazione, perversione e patologia, ma restituisce a tutte le componenti giudicate “negative” e “sbagliate” dalla società una dignità di esistenza e uno scopo divino, riconducendole al sacro della psiche. Leggere la psicopatologia all’intero del mito, non più soltanto attraverso un’ottica medica e scientifica del sintomo ma per mezzo della somiglianza archetipica e della metafora poetica e narrativa, consente di gettare nuova luce sulla psicopatologia: “il compito, piuttosto, è in primo luogo quello di ripensare o, meglio, di reimmaginare la psicopatologia esaminando il comportamento con occhio mitico e ascoltando i racconti come favole che ci insegnano il vero e unico linguaggio della psiche, quello simbolico.

Già Jung aveva messo fortemente in rilievo l’importanza dei sogni, delle fantasie, dell’immaginazione attiva e dell’espressione artistica nel processo di individuazione, anche di quello della propria sessualità nel mondo. Attraverso questi mezzi, in analisi possiamo sperimentare i simboli della nostra psiche attraverso cui ci individuiamo. La sessualità non è solo procreazione, non è solo relazione umana; la sessualità con tutta la sua varietà può essere compresa solo come “fantasia di individuazione”, una fantasia con simboli che sono così vivi da colpire anche il corpo, fisiologicamente, perché l’immagine di ogni fantasia è allo stesso tempo una pulsione libidica attiva. Naturalmente, il processo di individuazione di una persona nel mondo assume molte forme e la vita sessuale è soltanto una di esse, né superiore né inferiore alle altre. Perciò lo scopo non deve mai essere quello di sostituire la fantasia sessuale con qualche altra cosa. Perfino alle più strane fantasie sessuali bisogna permettere di vivere, ed è una perdita per la psiche quando ciò non accade. La vita sessuale e specialmente le fantasie, con i loro lati perversi e le inibizioni, costituiscono un mezzo attraverso cui l’individuazione può aver luogo. È importante capire perché la vita sessuale degli esseri umani è così piena di variazioni nella reale esperienza vissuta, ma specialmente nei sogni e nelle fantasie. L’Ombra, per esempio, il lato oscuro e distruttivo di ciascuno di noi, può essere sperimentato attraverso la sessualità. Ciò non significa che tutti, per trattare con la propria Ombra, debbano avere fantasie simili, ad esempio, a quelle del famoso marchese De Sade, ma significa che i fenomeni sessuali simili a quelli che l’autore descrive, quando si incontrano nella vita psichica della gente, possono essere compresi soltanto come parte del processo di individuazione, che ha luogo nella regione intrapsichica delle “divinità” sessuali.

Consideriamo ad esempio l’immagine dello stupro: essa si trova molto frequentemente nelle fantasie e nei sogni delle donne. Negativamente o positivamente, la fantasia dello stupro è assai importante. È, infatti, uno dei grandi temi della mitologia greca, la nostra originaria psicologia proiettata. Il tema della violenza carnale può avere qualcosa a che fare con il modo brutale ed improvviso in cui lo Spirito (il maschile) incontra l’Anima (il femminile), o per essere più precisi, l’Animus sopraffà la psiche femminile restìa, ma allo stesso tempo disposta. Riguardo questo argomento, James Hillman nei suoi saggi su Pan ha dato delle grandi intuizioni sull’importanza psicologica e la profondità della fantasia dello stupro, sia nell’uomo che nella donna. Le pratiche e le fantasie sessuali degli esseri umani sono così ricche e varie perché, attraverso simboli viventi come nella mitologia, possono esprimere ogni possibile variazione della vita psichica.

Pan, che grecamente indica il Gran Tutto, l’universo, è una divinità mitologica e naturalistica delle più rappresentative: simbolo, tra giocondo malizioso e burlesco, dell’onnipotenza della vita universale. Originariamente venerato solo dagli abitanti dell’Arcadia, ben presto onorato in tutta la Grecia. Figlio di Ermes e della ninfa Penelope, per uniformarsi all’ambiente nel quale sarebbe stato concepito, si narra che avesse piedi di capra, corna sulla fronte e il corpo ricoperto di peli ispidi. La madre rimase atterrita dal suo aspetto mostruoso e lo abbandonò, ma il padre lo avvolse in pelli di lepre (sacra ad Afrodite) e lo portò sull’Olimpo per mostrarlo a tutti gli Dei, che lo accolsero con molta gioia. Pan era comunemente rappresentato errante nei boschi, dove era solito passare le giornate cacciando con le Ninfe, in mezzo ai greggi danzando e saltellando, mentre alla sera si ritirava nella sua caverna a suonare la zampogna, che il mito narra fosse la stessa ninfa Siringa. La natura di questo dio fu sempre descritta come selvaggia, tendente ad uno spirito orgiastico, tanto che in molte leggende fu spesso unito a Dioniso, considerato anch’egli amante di molte ninfe e spesso confuso con i satiri.

Molti dei e molte dee, nell’immaginario greco, danno forma ai tanti volti della sessualità: Zeus, Afrodite, Eros, Pan, Priapo, ma anche Apollo, Dioniso, Ermes sono alcune di queste divinità. In perenne trasformazione, la sessualità cambia con le fasi della vita e a seconda di quale dio, o archetipo, viene di volta in volta attivato. Ognuna di queste divinità rappresenta un diverso modello fantastico attraverso cui sperimentare l’istinto. Perciò Lopez-Pedraza, ad esempio, parla di una “sessualità politeista” a cui partecipano tutti gli dèi, e quindi, da una prospettiva psicologica, tutte le costellazioni archetipiche. Individuare i tanti volti della sessualità politeistica, comprenderne le manifestazioni e le dinamiche, e all’interno di questa prospettiva focalizzare l’attenzione sulla perversione, significa per l’anima guardare a tutte le divinità che la rappresentano, tanto nell’immaginario greco, quanto in quello di altre culture.

Carotenuto scrisse (1996) che “l’immaginario greco è forse più di altri un immaginario dove l’eros consente il rapporto tra il divino e l’umano”: la sessualità assume quindi una funzione fondamentale, diventando il tramite privilegiato dell’incontro con il divino. Passione, perversione, gelosia, seduzione e tradimento tessono gli scenari mitici con cui la psiche racconta la fascinazione che sperimenta, il suo essere catturata da aspetti inconsci numinosi e potenti, immaginati proprio come dèi nel nostro racconto. Si tratta di un’irruzione violenta, che può apportare follia e morte e che muta radicalmente l’esistenza di chi la subisce. L’immagine che ricorre con frequenza per rappresentare questo accadimento è quella del dio che possiede violentemente una vergine, donna o ninfa che sia: nel momento in cui il divino tenta di toccare l’umano, questo contatto è vissuto come uno stupro. Presi da improvvisa passione, gli dèi cercano di possedere i mortali, senza troppo curarsi del loro volere e della loro sorte successiva; in questo contatto rapido e intenso, la psiche scopre l’irrompere della sessualità nella coscienza, celebra il destarsi del desiderio. La sessualità quindi è una metafora che, con i suoi movimenti di desiderio, fantasie perverse, attrazione o rifiuto, racconta i movimenti della psiche. Pan esprime proprio la nascita del desiderio e il suo realizzarsi che non è mai dolce e gentile, ma più spesso violento e istintivo. È proprio Pan con la sua figura caprina e itifallica, con il suo odore selvatico e il suo pelo irsuto, a rappresentare meglio di altri dèi dall’aspetto più gentile la violenza di questo incontro. Pan insidia le Ninfe, la loro ingenua verginità, le insegue e le possiede con un impeto che spesso sconfina nello stupro. Pan è il “Dio della natura dentro di noi, il nostro istinto”. Egli rappresenta quella vita animale che fonda la psiche. Infatti, con la perdita del contatto con la natura, con l’istinto e con l’immaginario sessuale che Pan rappresenta, la cultura occidentale ha trasformato Pan da dio a dèmone. L’immagine di Pan diventa quella del Diavolo cristiano che tenta l’individuo con il peccato della lussuria. La carne negata, mortificata e tormentata perché la sua voce taccia, si ribella popolando l’immaginario con i suoi incubi, le sue fantasie perverse e segretamente agite.

La sessualità violenta di Pan è una sessualità solitaria, sia perché legata alla masturbazione, sia perché la violenza del suo soddisfacimento non porta mai alla creazione di una coppia. Pan è solo, continuamente tormentato dal suo istinto, che può rapidamente soddisfare per poi tornare poi alla sua solitudine e alla sua impossibilità di sentirsi appagato. Pan non ama, pretende e prende ciò che vuole. L’abbandono è l’esito dei suoi incontri d’amore. Pan abbandona le ninfe appena possedute e torna alla sua vita solitaria nei boschi. La sua è “una maledetta esistenza nomadica in luoghi deserti, che il suo appetito rende sempre più deserti, e il suo canto tragedia” (Hillman, 1972). Per quanto il sedurre di Pan, il suo possesso violento, sia solo una delle tante sfaccettature della perversione, l’Anima non si può sottrarre ad esso. Perciò l’Anima, sotto forma di vergine Ninfa, ha prima bisogno di incontrare Pan, di conoscere la sua sessualità violenta ed immediata, per poter poi accedere ad altri livelli dell’eros. Prima bisogna conoscere la corporeità tormentata e dominata dal tentativo di soddisfare i suoi istinti, e in questo contatto bruciante elevarsi ad altri linguaggi, riunendo l’istinto all’amore, passando da Pan a Eros e agli altri dei dell’Olimpo. Costretto in un corpo diviso, per metà caprino e per metà umano, Pan non può invece aspirare all’Olimpo: la sua sessualità rimane radicata alla terra e non può ancora elevarsi verso il cielo e lo spirito. Occorre liberare Pan, permettere alla propria anima di incontrarlo, di lasciarsi conoscere e violentare metaforicamente da esso, cioè occorre riconoscere tutti gli aspetti più oscuri, irruenti e animaleschi della propria sessualità, e fare in modo che essi possano trovare posto nel mondo. Solo allora, forse l’assalto di Pan lascerà il posto a un altro tema archetipico con cui l’energia dell’Anima verrà a cercare, nella sessualità, la sua trasformazione.

(Immagine: Nicolas de Courteille, Ninfa con Satiro)

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