L’analisi dei sogni, oggi

Nella storia dell’uomo il lavoro sul sogno ha da sempre portato avanti un continuo confronto tra le immagini oniriche personali e gli immaginari della coscienza collettiva presenti nelle varie culture. La rivoluzione che il sogno ha portato in psicologia e in psicoterapia passa attraverso la ri-scoperta dell’inconscio ad opera di Sigmund Freud, e dell’immaginazione psichica da parte di Carl Gustav Jung, fino ad approdare a James Hillman e alla sua prospettiva del cosiddetto “mondo infero”, su cui il mio libro sul sogno, che uscirà il prossimo anni, si concentra e si confronta, allo scopo di imboccare una propria via. Oltre al materiale bibliografico e la letteratura disponibile sull’argomento, nella mia ricerca sul sogno ho di fatto utilizzato il materiale onirico e immaginativo di mia spontanea produzione. Nella sua prefazione alla “Re-visione della psicologia” (un libro fondamentale che tutti gli psicologi oggi dovrebbero conoscere e studiare per aggiornarsi), Hillman dice: “Poiché la mia anima, la mia costituzione psicologica, è diversa da quella di Freud e da quella di Jung, anche la mia psicologia sarà necessariamente diversa dalle loro. Ogni psicologia è una confessione, e il valore che una psicologia ha per un altro non sta là dove egli può identificarvisi perché soddisfatto in certi suoi bisogni psichici, bensì là dove essa lo stimola a elaborare in risposta una propria psicologia”.

La mia psicologia parte sin da quando ero bambino. Nei miei sogni notturni come in quelli diurni veniva a trovarmi un dèmone, che io chiamo il dèmone del sogno, che ben molto prima di leggere Freud, Jung o Hillman, già mi narrava quelli che io oggi pongo a enunciati della mia tesi. Anzitutto, il dèmone mi diceva che tutto ciò che dovevo sapere era già dentro di me da sempre, e al momento giusto lo avrei capito e avrei saputo tirarlo fuori nel mondo, qualora avessi saputo guardare ai segni che avevo attorno. Fu proprio grazie al dèmone del sogno che mi fu sempre chiaro che sia gli immaginari onirici che quelli non-onirici provengono da una stessa realtà che possiamo definire immaginazione. Come Jung disse, l’immaginazione è una funzione autonoma della psiche. Nella mia trattazione, ho rivisto il modo in cui essa può essere usata in terapia come metodo di conoscenza, precisamente come «funzione conoscitiva» della psiche. L’analisi didattica che feci durante il quadriennio di specializzazione fu il setting analitico che mi diede infatti la possibilità di accogliere i miei dèmoni, e tutte le immagini che essi mi portavano sia di giorno che di notte, offrendo così un tempo e uno spazio ai dèmoni e agli dèi della psiche, per dialogare con essi così come l’uomo ha sempre fatto in ciascun témenos nella storia delle culture e delle religioni.

Sempre già da ragazzo ricevetti l’idea che i sogni provenissero come da un’altra dimensione parallela, presentandosi come condizione acausale e come fosse un non-spazio e un non-tempo, per mettere in scena una rappresentazione che entrasse a far parte della nostra dimensione nel qui e ora cosciente, cioè nel preciso spazio-tempo del luogo e del momento in cui noi le sogniamo o le ricordiamo. Nella mia mente, quest’idea prese forma ben prima ancora, per esempio, di leggere Freud quando dice che i sogni non hanno nulla a che vedere con la realtà diurna, o di leggere Jung e ritrovare l’idea del mio dèmone nella sua dinamica dell’inconscio, o ancora ben prima di sapere dell’esistenza di Hillman.

Di lui non avevo ancora letto il libro “Le storie che curano”, dove trovai scritto che “sogni, visioni e sentimenti non hanno niente a che fare con l’anima se non sono ricordati, trascritti, se non entrano nella storia”. Per “fare anima” col sogno, dice Hillman, il sogno deve entrare nella storia, quasi in senso hegeliano: esso può essere usato come “conosci te stesso”, allo scopo di compiere un’azione, entrando così a far parte della storia del sognatore, anzi forse di più: facendo insieme alla sua la storia stessa del mondo. Per cui già solo parlarne e rivederne le immagini, significherebbe cambiare la storia facendo la sua narrazione.

Dice Hillman che il sogno è metaforico, parla contemporaneamente due lingue. Jung espresse questa duplicità ermetica dicendo che il sogno è un simbolo, un far coincidere in un’unica voce due prospettive e due modi di leggere il sogno, allegorico e metaforico, a seconda della prospettiva, quella dell’io o quella della psiche, che Hillman riconduce a Freud e a Jung rispettivamente, e ai due metodi dell’interpretazione e dell’amplificazione. Hillman poi rielabora l’idea di Jung che il sogno sia la stessa natura che parla, col suo linguaggio metaforicofatto di immagini archetipiche, e che questa natura possa essere letta come “teatro della psiche”. Se il sogno presenterebbe una struttura drammatica, Hillman sorpassa decisamente la metafora del teatro perché istruttiva ma fuorviante, in quanto noi confondiamo “cosa“ vediamo con “come” vediamo, perciò il sogno non è tanto il teatro quanto un luogo di incontro del nostro modo di vedere quelle personae del sogno come maschere di un teatro psichico. Dice Hillman, che quando vediamo il dramma, sono sempre le nostre ipotesi quelle che stiamo guardando”. La variabile fondamentale è sempre il modo in cui il sogno e le sue immagini vengono visti dal sognatore, che sarà sempre condizionato dalla sua cultura e dal suo approccio.

Dobbiamo fare anzitutto i conti con il retaggio delle culture e tradizioni onirocritiche e oniromantiche precedenti alla nostra. Nella cultura egitto-ellenica la considerazione del sogno era altissima, considerato soprattutto per la sua funzione profetica e risanatrice, così come avveniva ad esempio nell’antico culto di Asclepio dell’incubazione del sogno. Già in epoca romana il valore dei sogni venne messo in discussione, fino ad arrivare a proibirne l’interpretazione, e la visione del sogno come tentazione e pericolo fu successivamente sposata dal Cattolicesimo. La tradizione cristiana considerava i sogni come possibili rappresentazioni dello spirito di Dio e della sua benevolenza, ma la Chiesa cattolica mise in atto una vera lotta al politeismo onirico, che ebbe il suo culmine con la proibizione dell’interpretazione dei sogni pena la morte. Si era sviluppata la credenza che nei sogni si manifestassero le entità infernali e le oscenità del peccato, e che attraverso i sogni il demonio trovava una via d’accesso per piegare la volontà umana. Nella storia della cultura del sogno abbiamo sempre, quindi, da una parte, la concezione di una duplice natura del sogno, così come già era per gli Egizi, per i Greci e per i Romani. Nella cultura ebraica a cui attinse Freud ciò vedeva centrale il ruolo di una tradizione di interpreti per una corretta traduzione del contenuto, mentre nel substrato culturale cristiano il dualismo fa da base alla concezione junghiana dell’opposizionismo del sogno e del suo uso diagnostico e prognostico. Ma da un’altro lato, il sogno veniva già inteso come immagine dell’anima e immaginazione: se Platone considereva i sogni espressione del metaxy, un mondo intermedio attraversato da dèmoni nello spazio dell’immaginazione psichica, dove le immagini starebbero come modelli o archetipi, possiamo riportare questa concezione anche a Sinesio di Cirene, l’unico in quel tempo a parlare di una natura immaginativa del sogno, nonché di eidoliké psyché, ovvero del sogno come funzione rappresentativa dell’anima per immagini.

Che il sogno sia un luogo di dèmoni come immagini, lo sosterrà con forza anche Hillman. Il sogno è un luogo che Hillman nomina come “infero”, come Ade, non troppo distante dalle visioni di Freud e di Jung. Per Hillman, quel luogo però non è dentro il sognatore, e non è esattamente il suo mondo interiore, ma è un mondo “altro”. Già per i greci gli eìdola del sogno parlano al sognatore come se fossero esseri viventi; le immagini dei sogni sono veri e propri dèi, così come narrava Omero nell’Odissea, e gli dèi stessi facevano eìdola a loro immagine e somiglianza per comunicare con i mortali attraverso il sogno. Il sogno di Omero è “oggettivo” perché appartiene a una serie di oggetti che appartengono a un altro mondo, il mondo delle immagini, posto tra quello divino e quello terreno. Questa concezione si ritrova nel pensiero islamico e nella filosofia della luce, e a partire dalla nozione dell’esistenza del barzakh, che Corbain ripropone come Mundus Imaginalis, costituendo una delle fonti più significative della psicologia archetipica di Hillman.

È invece dal mondo rovesciato egizio dei morti che Hillman parte associando la sua concezione del sogno. Ne “Il sogno e il mondo infero”, Hillman segna una svolta epocale nell’uso del sogno e dell’immaginazione in terapia. Partendo dalla Grande Signora Terra o Chthon, che inviava i sogni ai greci, più propriamente identificando questa dimensione con la Casa di Ade, il mondo delle “profondità ctonie dell’anima”, Hillman individua in quella di Ade la prospettiva psichica da cui guardare ai sogni. Per Hillman, il mondo infero è psiche. Il Ba infero degli egizi e la psyche infera della Grecia omerica erano la persona intera come in vita, ma svuotata della vita. Questo significa che la prospettiva del mondo infero modifica radicalmente la nostra esperienza. Essa non ha più importanza per come è, importa solo dal punto di vista della psiche. Allora per Hillman le immagini del mondo infero sono enunciati ontologici intorno all’anima, su come essa esista in se stessa e per se stessa. Poiché gli eidola non hanno sostanza, essi “sembrano essere” per come appaiono, per cui possiamo parlarne soltanto per somiglianza o “come se”. Qui il “cosa” è visto è confuso con il “come”, e ciò vuol dire che tutto dipende dal modo che il sognatore ha di vedere quella “cosa” nel sogno. Le immagini oniriche sono forme energetiche e archetipiche di attivazione della psiche, ma la natura di questo fenomeno visivo è la stessa della proiezione psichica che il sognatore, che riporta nel sogno notturno il suo punto di vista e la sua conoscenza mondana, incontrando lì invece il mondo delle immagini psichiche.

Questa concezione lascia quindi cadere l’interpretazione freudiana e tutte le operazioni di traduzione delle immagini oniriche nella realtà cosciente del sognatore, così come quella di associazione dei contenuti onirici a quelli diurni, perché spiegherebbero il sogno soltanto come attributo del diurno e della coscienza, e non del mondo infero della psiche. Sempre tenendo ben presente che il modo in cui il sogno viene visto è e sarà sempre condizionato dal modo stesso di vedere del sognatore, dalla sua cultura e dal suo approccio, comprendiamo la necessità di fare i conti con una psicologia “soggettiva” del sogno, che però nel lavoro sul sogno oggi deve mettere avanti l’ontologìa delle immagini e dell’immaginazione. È necessaria quindi un’analisi ontologica delle immagini oniriche, nonostante quella dell’ontologia sia una concezione difficile da accettare per il nostro retaggio culturale.

A mio avviso, anche nel pensiero di Hillman vi sono inevitabilmente residui di concezioni cristiane e romantiche, positiviste e meccaniciste: ad esempio, nel finire ad attribuire tutta la colpa del nostro modo “letterale” di leggere il sogno all’opera di censura del cristianesimo rispetto alla morte; e quando anch’egli ricade nel topos letterario del sogno come Morte e sua anticipazione. O ancora quando, dopo averlo sprofondato, Hillman resuscita l’io nel sogno, definendolo come immaginale senza far conto del fatto che sia sempre un punto di vista dell’io sull’io onirico. Più interessante dell’io, che ci limiteremo a chiamare il sognatore, è invece ciò che accade nel resto del sogno, ovvero nella psiche, in cui l’io è già un personaggio e un’immagine tra le altre. E se nel sogno sta seguendo un certo mito, più o meno eroico o immaginale che sia, è perché la psiche stessa lo vuole e in tal modo lo descrive, e come analisti noi dobbiamo stare molto attenti a giudicarlo e metterlo in croce, perché giudicare l’io onirico significa sempre giudicare la psiche.

Poiché l’altro mondo accade in corrispondenza significativa con questo, sarà la sincronicità che emerge dalla lettura mitica del sognatore a far emergere il senso e il significato del sogno, ovvero l’insight su se stessi. Ad esempio, quando Jung ruppe con Freud e rimase solo, sappiamo che entrò in una crisi spirituale in cui si rivolse alle immagini personificate delle sue visioni interiori, dedicandosi a una sorta di fiction immaginativa. Lo scontro con Freud fu prima di tutto consumato sull’ideologia culturale concorrente alle loro diverse psicologie, e tra i rispettivi atteggiamenti come terapeuti, nonché in una contrastante visione del mondo. Così farà Hillman con Jung, interpretando la sua vita e la sua psicologia come “demonologica”, e attribuendogli come chiave interpretativa il pandemonio delle immagini e dei dèmoni della sua personale crisi creativa, criticandolo così come Jung aveva già fatto con Freud (applicandogli il filtro del suo opposizionismo dello spirito). Così io faccio con Hillman, criticandolo laddove è il mio dèmone a dirlo. È un dèmone personale, un daimon  che ci spinge a far leva su ciò che viene prima, soprattutto culturalmente. Il dèmone ci parla e ci appare in sogno, per andare avanti e far emergere la sua visione, accompagnando la nostra anima per tutto il corso della vita. Il dèmone, come il sogno, si presenta in un momento specifico, imponendo una coincidenza significativa al nostro modo di viverla, che sta a noi accogliere o meno, ovvero riconoscerla come sincronicità, e utilizzarla. Ad esempio, fu proprio nel periodo in cui Jung ruppe con Freud che una colomba/vergine gli parlò in un sogno cruciale, che fece capire a Jung la sua vocazione. Fu a partire da quel momento che quindi Jung divenne così come noi l’abbiamo conosciuto e come è entrato a far parte della nostra cultura. Sono molti i sogni che Jung fece nella sua vita che accaddero come coincidenze significative rispetto alle scelte e alle decisioni che gli si imponevano in un certo periodo. Allo stesso modo, come sappiamo, Freud concepì la sua autoanalisi e la psicoanalisi stessa attraverso il Sogno di Irma.

Come il daimon di Hillman, il sogno è una presenza invisibile che si prende cura di noi quotidianamente: esso non ci abbandona mai, anzi, se restiamo presenti a noi stessi ci accorgeremmo della sua comparsa nei molti momenti cruciali della nostra vita, come nei sogni di inizio terapia. Il daimon è per Hillman anche colui che si impone con la sua biografia, e le nostre storie più autentiche sono le storie del daimon come quelle dei nostri sogni. Noi tutti leggendo le opere di Hillman, non possiamo fare a meno di percepire tra le righe la voce del suo genio narrativo, laddove chi sta parlando è chiaramente il suo dèmone, e ciò che Hillman dice riguarda il suo stesso rapporto con il dèmone, dal momento che come sappiamo la condizione umana è quella di confondere sempre il “cosa” col “come” è visto, e che ognuno parla e vede in base alla propria esperienza personale. Hillman era forse sempre agito da un dèmone, che lui stesso in varie opere cita come Peito, che nella mitologia greca personificava la seduzione come “persuasione retorica”, e che occorreva anche col nome di Afrodite, nonché la forza che lo agisce e lui applica nelle conferenze, e che caratterizzo come attivo vicino al suo compagno letterario, il Pòlemos eracliteo, dio della guerra e del caos che si oppone al dèmone Lógos, la ragione che mette ordine nel mondo.

Giungiamo allora alla mia concezione sincronistica del sogno. Essendo per sé psiche e perciò indicibile e indecidibile, il sogno può essere usato attraverso la sincronicità che instaura con noi stessi. Jung  definì con il termine di sincronicità tutte le possibili combinazioni di coincidenze tra stati soggettivi e oggettivi, che possono essere individuate nella ricerca di una corrispondenza tra uno stato interno ed uno esterno al soggetto. Nel concetto di sincronicità è centrale la coincidenza tra lo stato del soggetto e l’evento considerato “esterno” che il soggetto stesso si trova ad osservare. La sincronicità sarebbe quindi una coincidenza significativa per il soggetto che, come il sognatore, osserva le immagini oniriche accadere aldilà di se stesso e come in un’altra dimensione o al di fuori di esso. In questa dinamica psicologica giocherebbe un ruolo decisivo il substrato archetipico le cui immagini sarebbero il veicolo per le esperienze di sincronicità con il sogno.

La coincidenza significativa si attiva autonomamente col sogno, ed è riconosciuta all’entrare in contatto del mondo infero col mondo supero, riproducendosi ogni volta che il contatto tra i due mondi si ripresenta, così come ogni volta che le immagini oniriche tornano alla memoria. Il sogno stesso è il luogo della sincroncità, un luogo intermedio tra un mondo e l’altro.  Proprio perché il sognatore ha una parte importante come le altre, allora il compito del sognatore diventa quello di portare a termine il sogno nell’immaginazione diurna attraverso l’insight. È il sogno stesso a introdurre la sua dimensione temporale come “vettoriale” con l’Io onirico, in quanto nel tempo del sogno “non c’è tempo”. È il sognatore a vivere la sua temporalità, nel momento in cui essa coincide significativamente con le immagini oniriche. Il sogno appare allora portato da Kairos, “l’Occasione”, che era una divinità allegorica che rappresentava la personificazione del “momento opportuno”, perché si presenta un’unica volta, fuggevolmente, a suggerire che se non lo si afferra subito, il momento opportuno sfugge. L’unicità e la sfuggevolezza di Kairos fanno conto di tutto il lavoro dell’analista, che deve saper cogliere il senso del sogno nell’intuizione così come nell’immaginario che “opportunamente” arriva tra la visione soggettiva e quella oggettiva. Il sogno stesso, allora, può essere visto nella nostra prospettiva daimonica come un’opportunità e un’occasione, quella di accogliere la sua funzione conoscitiva attraverso la coincidenza significativa che esso propone.

È nel coincidere di questi due mondi, quello del sonno e quello della veglia, quello del mondo infero e quello del mondo supero, quello delle immagini oniriche e quello degli immaginari non onirici, che l’insegnamento daimonico del sogno si rende significativo come funzione conoscitiva. Per portare il sognatore fin dentro le sincronicità del sogno, l’analista ri-sogna e ri-narra il sogno del paziente facendo la sua fiction in terapia, mediante l’utilizzo del mito come analogia narrativa. La storia del sogno così diviene la storia psichica del paziente, e il sogno viene storicizzato nel qui e ora in cui la sincronicità si presenta, cioè in cui le immagini oniriche, che sono eterne, accadono e arrivano coincidendo significativamente. In questo modo, saranno le stesse immagini e personae del sogno, laddove noi riusciamo a riconoscerle, a svolgere la funzione del buon daimon, quella di guida per il buon vivere. Ovvero un vivere verso quella felicità che ne determina l’ethos, così come la concepivano gli antichi: felicità in greco si dice eudaimonia, deriva da eu-daimon, “il buon dèmone”.

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