Il giudizio degli altri e l’arte di essere se stessi

Il giudizio che abbiamo di noi stessi determina la propria autostima e, in generale, la fiducia che abbiamo nell’intraprendere e portare avanti le nostre azioni e relazioni quotidiane, in particolare quelle dove ci sentiamo in qualche modo messi alla prova. Questo “giudice interno”che abbiamo è costituito da un insieme di pensieri e credenze che sono stati appresi durante la nostra vita e fissati nella memoria, sottoforma di “etichette” di valore, che derivano da tutti i giudizi e le critiche che abbiamo in passato ricevuto dagli altri nella valutazione del nostro comportamento.

Tutte queste “etichette” vengono inconsapevolmente rievocate per monitorare e controllare l’efficacia delle proprie parole e delle proprie azioni sugli altri, perciò vanno a formare nel nostro incoscio una immagine di noi stessi, che viene costantemente verificata nelle azioni e nelle parole degli altri. Queste ultime diventano perciò l’oggetto di proiezione della propria paura di sbagliare o di fare una brutta figura, finendo per impedirci di comportarci come vorremmo e per farci conoscere per chi siamo veramente, spingendoci a ripulire quell’immagine di noi stessi da tutto ciò che man mano consideriamo sconvenevole o inaccettabile agli occhi degli altri come alla nostra stessa coscienza.

Il rischio è quello di finire per dipingere di noi un ritratto ideale che, come quello di Dorian Gray, risulta dall’aver rinunciato alla propria anima, cioè alla propria vita interiore, in cambio di una vita esteriore “accettabile” fatta di finzioni, ovvero di parole e azioni che vogliono dimostrare agli altri la propria bontà allo scopo di nascondere ciò che di se stessi più si teme di mettere in luce. Questo ritratto ideale, proprio come quello di Dorian, sostituisce la nostra Ombra solamente ai nostri stessi occhi, perché agli occhi degli altri appariremo alternativamente come una persona falsa, manipolatrice, remissiva, fredda, sfuggente, o comunque non spontanea, in quanto siamo costretti dal nostro giudizio interiore a non essere noi stessi e a voler essere migliori degli altri.

Noi non ci renderemo conto dei motivi delle reazioni (negative) degli altri verso noi stessi, poiché proiettiamo su di essi tutti i lati negativi che di noi ci nascondiamo. Perciò ci saremo condannati ad essere persone sole fino a sentirci di essere gli unici che perseguono certi ideali morali, e identificando negli altri i nostri mali e la sfiducia che noi stessi abbiamo verso di noi e che ci nascondiamo.

La prima cosa da fare nel lavoro sul giudizio è analizzare la modalità di dialogo interno che si ha con se stessi e con il proprio giudice interiore. Si inizierà a notare, ad esempio, che nei periodi in cui ci si sente più ansiosi, stressati o nervosi, questo giudice interno è più severo sia con gli altri che con se stessi: gli altri si percepiscono come più critici o minacciosi, viene a mancare la voglia di capire e farsi capire, fino a sentirsi meno capaci di fare e di realizzare i propri desideri. Nei periodi in cui ci si sente più sereni, si noteranno invece meno scontri con gli altri e ci si sentirà più volenterosi, più in armonìa con se stessi e più desiderosi di fare. Il punto, qui, è arrivare a identificare il rapporto esistente tra il modo di sentirsi e il modo di pensare, fino a rendersi conto che, se ci si sente in un certo modo, è perché si pensa secondo determinate modalità, ovvero che il pensare in modo “negativo” determina che anche il nostro comportamento sia ugualmente negativo, così come il risultato che da esso attendiamo.

La seconda cosa da fare è analizzare la modalità in cui si raccoglie la critica dagli altri. I soggetti ansiosi tendono ad anticipare la critica degli altri nella propria immaginazione, finendo ad evitare così certe situazioni e certe persone che sono fonte d’ansia perché considerate potenzialmente critiche. I soggetti più ipervigili tendono a controllare costantemente ed esageratamente il volto, gli atteggiamenti e il comportamento dell’altro, raccogliendo la critica nello sguardo e nelle parole, ma anche nei silenzi e nelle attese, che vengono riempite delle proprie proiezioni e pensieri negativi (es. “mi ha guardato in un modo cattivo”, ma anche “non mi risponde perché è deluso” ecc). Il punto, qui, è arrivare a capire che noi ci sentiamo giudicati e criticati perché noi stessi in prima persona abbiamo un atteggiamento esageratamente sensibile nei confronti degli eventuali giudizi altrui, fino ad arrivare a identificarne la causa nella troppa importanza che diamo all’immagine di come vogliamo apparire rispetto a ciò che siamo veramente, cioè nel nostro giudice interiore invece che nel presunto giudizio degli altri.

Il terzo passaggio si pone come obiettivo quello di riappropriarsi del giudizio degli altri. Si inizia con l’allenarsi a ritirare le proiezioni del proprio giudice interno sull’altro: in pratica, ogni volta che percepiamo arrivare un giudizio o una critica dagli altri, noi lo dobbiamo rivolgere a noi stessi, domandandoci: “Come mi riguarda? Dove/quando sono io in questo modo con gli altri? Chi mi ha fatto sentire in questo modo nel passato?”, provando a darci una risposta. Ad esempio, se a un certo punto percepiamo uno sguardo deluso dell’altro nei nostri confronti, dobbiamo sforzarci di domandarci immediatamente “Come mi riguarda la delusione? Dove e quando mi sento deluso? Cos’è che mi delude degli altri? Chi mi ha deluso nel passato?” e poi provare a risponderci immediatamente. Nel farlo, in quel momento noi staremmo integrando l’Ombra che proiettiamo costantemente negli altri, ovvero avremmo modo di risalire all’origine del pensiero critico dentro di noi. Il punto, qui, è arrivare a capire che ciò che vediamo dell’altro è la proiezione di ciò che noi sentiamo e abbiamo dentro, e che è determinato dalle nostre esperienze passate, fino a renderci conto che l’altro probabilmente non ci sta affatto giudicando nel modo che noi pensiamo.

Il quarto passaggio consiste perciò nello svelare la sovrapposizione che esiste tra i messaggi ricevuti nel passato con quelli che si credono attuali. Se, infatti, quello che ci dicono gli altri oggi viene percepito come una critica, è perché rievoca quelle “etichette” che abbiamo immagazzinato riguardo ciò che è critico o meno, e che sono derivate dai messaggi che sono stati ricevuti nel passato e raccolti come critiche e giudizi negativi, ad esempio da parte dei propri genitori o dalle figure di riferimento (amici, partner, ecc.). In particolare, si puo’ focalizzare l’attenzione su chi ricordiamo essere stato particolarmente critico nei nostri confronti, ovvero su chi aveva abitudine di usare con noi delle frasi del tipo “Sei troppo…” o “Dovresti….” (es. “Sei troppo grassa”, “Sei troppo disordinato”, “Dovresti studiare di più per essere intelligente”, “Dovresti smetterla di rompere le scatole ogni momento”, ecc.). Queste frasi sono probabilmente quelle che hanno condizionato il nostro giudizio su noi stessi quando eravamo piccoli, poiché noi formiamo l’immagine di noi stessi in base ai messaggi degli altri. Il punto, qui, è imparare a dividere i messaggi che ci sono stati utili nella vita da quelli che sono disfunzionali, nonché capire che alcuni messaggi che abbiamo ricevuto in passato ci hanno condizionato a vedere gli altri in un certo modo “negativo” e a reagire automaticamente nei confronti degli altri, giudicandoli come siamo stati noi stessi giudicati in passato.

L’ultimo passaggio si pone come obiettivo finale quello di iniziare a trasformare il giudice interiore in una guida esistenziale. Per farlo, dopo aver analizzato e verificato tutte le influenze dentro di te attraverso i passaggi precedenti, è infine necessario fermarti e parlare a te stesso con un linguaggio che dia una senso diverso alla tua esperienza attuale, un linguaggio che sia aderente alla realtà dei fatti e ai propri desideri e obiettivi, non quel linguaggio automatico poiché condizionato dalle critiche e dai giudizi passati. In pratica, quando non ti senti sicuro/a di fare qualcosa, o ti senti criticato/a in qualcosa da qualcuno, e non ti senti abbastanza bravo/a o efficace a fare qualcosa o pensi che qualcuno abbia espresso un giudizio negativo su di te (ad es. inizi a dirti o a pensare “Non sono sicuro di….” oppure “Non sono abbastanza bravo/a a ….”), devi fermarti e cambiare questa frase e questo pensiero in una frase diversa che sia descrittiva di ciò che ti sta succedendo adesso, come ad es. “Fermo/a! Sto immaginando che questa persona mi stia giudicando, ma in realtà questa critica appartiene a quel messaggio condizionante che ho ricevuto in passato e non c’entra niente con questa situazione!”. Il punto, qui, è accorgersi ogni volta che questi messaggi autocritici partono automaticamente impedendoti di essere te stesso/a, e man mano sostituirli con dei nuovi messaggi o “etichette” per ogni situazione, in cui hai imparato che l’altro non ti stava criticando, ma eri tu che criticavi te stesso/a.

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