Yoga e meditazione: quando sono utili in terapia

La parola yoga significa “unione con il tutto, con la natura, con l’assoluto”. Oltre a essere una filosofia, lo yoga è un insieme di esercizi che porta allo sviluppo e al completo controllo della totalità dell’essere umano: corpo, mente, psiche.

Il respiro è alla base di questo controllo. In una posizione normale, la respirazione coinvolge sia la parte alta che quella bassa dei polmoni (50% pancia/50% torace), gonfiando e sgonfiando tutto il tronco. Tuttavia il nostro flusso respiratorio varia a seconda del nostro stato di coscienza, dello stress fisico e dello stato emotivo, e delle loro variazioni. Quando respiriamo in modo completo e “pulito”, ovvero con tutto il tronco, siamo in una posizione “ideale” di equilibrio. In un respiro ideale, il nostro corpo sta in una condizione senza sforzo né stimoli, quindi di pace e quiete, in una sorta di stato meditativo. In un respiro “ansioso”, invece, le emozioni negative sono bloccate nel corpo, che resta sotto sforzo e stimolato.

Nel tronco sono collegate le sedi di manifestazione delle nostre emozioni, le quali sono regolate dal cervello, in particolare dal sistema limbico. Nel corpo le nostre percezioni corrispondono a dei significati emotivi, che sono delle reazioni fisiologiche agli eventi esterni, associate ai valori e ai significati particolari che hanno per noi gli eventi che viviamo. Gli studi di Ekman sulle emozioni (1972) hanno identificato 6 emozioni primarie: rabbia, paura, tristezza, gioia, sorpresa e disgusto. Mescolate opportunamente, queste emozioni di base creano tutti gli stati emozionali e affettivi che costituiscono i sentimenti dell’uomo. Dove si manifestano nel corpo queste emozioni, ovvero dove le percepiamo?

Nella filosofia taoista e per lo yoga, vi sono tre centri del corpo in cui il sistema emotivo umano si esprime:

– nella pancia, ovvero nella zona ventrale inferiore, si esprimono paura e rabbia (emozioni viscerali);

– nel cuore, ovvero nell’area toracica mediana, si esprimono tristezza e gioia (emozioni sentimentali);

– nella testa, ovvero nell’aria superiore e delle spalle, si esprimono sorpresa e disgusto (emozioni mentali).

Agendo attraverso la respirazione su una particolare zona del corpo, noi possiamo controllare la reazione emotiva sottostante. Ad esempio, in una reazione aversiva complessa, può succedere che: 1) la paura freni la respirazione, poiché essa tende ad irrigidire la zona del diaframma; 2) che la rabbia tenda ulteriormente a bloccare il diaframma, poiché essa crea una reazione verso l’esterno che si blocca nel torace superiore; 3) che la sorpresa, legata all’idea di ciò che non si conosce, si rappresenti mentalmente in uno stato di confusione per ciò che ci si aspetta; 4) che il disgusto, arcaicamente legato al senso dell’olfatto, si riversi come malessere sentito nella testa.

Nello yoga il flusso delle emozioni, che agisce in modo attivo o passivo, viene chiamato “prana”, che non è ben tradotto come energia vitale ma come “forza vivente intenzionale”. Nella medicina cinese questa forza equivale al “qi”, ed è considerata una forza psicofisica in ragione della nostra attività vitale legata a quello che stiamo facendo. Ci sono buone ragioni per fare una correlazione tra il prana e la libido, ovvero l’energia sessuale che, secondo la psicoanalisi classica, si manifesta come principio di piacere. Il prana, infatti, è considerato come un’essenza sublimata dello sperma o degli ovuli femminili, quindi avrebbe una natura sessuale.

La parola prana inoltre deriva da “ojas”, che sarebbe l’energia prodotta nel corpo dalla nutrizione, dall’emozione e dalla salute mentale, rappresentativa del benessere psicofisico.

La nostra salute sessuale è, nelle medicine orientali, anche un indicatore della nostra salute mentale: i gameti vengono visti come il fiore del nostro corpo in salute, nonché la nostra stessa forza motivazionale e mentale verso le attività quotidiane. Nella cosmologia indiana, questa forza è vista come la grande eiaculazione di Shiva e in cielo rappresentata nella Via Lattea, e diventa prana quando si manifesta nelle emozioni e nel comportamento umani. Carl Gustav Jung trasse ispirazione dalla lettura dei testi indiani, e ipotizzò che la libido freudiana fosse non solo una manifestazione della forza sessuale, ma anche di quella psichica creativa, che appartiene a tutta la varietà di manifestazioni della vita. Se il prana, infatti, rappresenta la forza dell’anima, esso puo’ essere trasformato e diventare ojas, la capacità psichica espressa dal corpo, oppure “tejas”, “luce” o forza spirituale, nonché illuminazione mentale, cioè la capacità del pensiero.

La trasformazione del prana deriva dalla consapevolezza del nostro ruolo all’interno di qualcosa che accade; questa presa di consapevolezza puo’ portare al cambiamento delle concezioni del soggetto verso ciò che accade nell’universo e a se stesso, quindi ha un effetto psicoterapeutico. Essa avviene attraverso l’interazione e la partecipazione intenzionale alla manifestazione tra corpo e spirito con la propria anima e in modo senziente. Inizia da esercizi di respirazione e rilassamento, e prosegue con tecniche meditative e immaginative. Si organizzano pacchetti di 6-8 incontri in cui si lavora sul sintomo, partendo da una dimensione “tecnica” della pratica yogica, e successivamente lavorando oltre la gestione del “segno” del sintomo, andando a esplorare il suo fattore profondo e simbolico in un lavoro analitico personale, “artistico” e creativo.

La forza del prana si manifesta nella forza fisiologica delle varie aree del corpo dove si possono psicologicamente manifestare i vari nuclei di somatizzazione delle emozioni. Quando è in salute, il nostro corpo manifesta la sua forza e si esprime in tutte le varie correnti in cui si divide il prana: “viana”, negli arti; “udana”, tra la gola e la testa; “prana”, nel petto; “savana”, nella pancia; “apana”, nella zona viscerale. In psicoterapia si cerca di riequilibrare il flusso di queste correnti tra loro. Ad esempio, la corrente apana ha a che fare con lo scarico a terra di energia che puo’ rimanere bloccata nella zona viscerale, causando impotenza e altre somatizzazioni. In generale, tutte le correnti del prana sono orientate verso l’esterno, e rappresentano fisiologicamente il naturale scarico energetico delle energie psichiche attraverso gli organi del corpo. Il blocco di una o più correnti determina una perdita dell’equilibrio energetico, e quindi la causa di uno o più sintomi somatici. Attraverso gli esercizi di postura e respirazione yogica, perciò, noi non assecondiamo le correnti energetiche “disfunzionali”, ma le fermiamo attraverso la respirazione e il movimento del corpo, riuscendo poi a trasformarle in presa di consapevolezza nell’atto meditativo. Così anche nella meditazione, noi fermiamo il prana e lo investiamo o finalizziamo (sublimandolo e “purificandolo”) in forza spirituale, inducendo un processo di cambiamento dei propri fattori pulsionali e motivazionali, nonché individuando la nostra anima nel mondo oltre che nel nostro corpo e partecipando al nostro naturale processo di crescita e di evoluzione.

Inoltre, con le tecniche immaginative, noi permettiamo che il prana si sublimi e si trasformi nelle immagini dell’anima, ottenendo quella che James Hillman ha chiamato la “visione in trasparenza”, ovvero l’insight psicodinamico, l’intuizione che ci permette la comprensione dei nostri blocchi emotivi e il loro significato. Il nostro corpo è quindi una “interfaccia” della nostra anima, su cui essa puo’ proiettare, attraverso il rilassamento, le immagini (ovvero le rappresentazioni mentali) di uno stato emotivo e psicofisico rilassato. Queste immagini possono essere rievocate e riattivate poiché già conosciute nel proprio passato e inscritte nella propria memoria emozionale.

La rievocazione di queste memorie nello stato di rilassamento induce uno stato di trance, che già inizia attraverso la respirazione. In questo stato di autosuggestione ipnotica, è possibile spostare la concentrazione sull’immagine di una modalità sensoriale ad un’altra, creando delle vere e proprie sinestesie, che rappresentano lo spostamento del flusso energetico delle correnti del prana. Modificando le immagini mentali, ad esempio leggendo le sensazioni del corpo in chiavi descrittive alternative (artistiche o poetiche), automaticamente si modificano le relative modalità percettivo-sensoriali di attivazione per la fruizione di quell’esperienza immaginativa associata, e in un certo senso il cervello si riprogramma nella sua attività di base, generando le emozioni desiderate al posto di quelle spiacevoli e angosciose.

Psicoanalisi, yoga e meditazione possono quindi essere delle pratiche ben integrative e complementari. Se da un lato la tecnica di respirazione favorisce un ripristino del controllo delle energie emotive nel corpo, e quella meditativa favorisce la consapevolezza e il divenire delle immagini mentali, dell’altro la psicologia si occupa dei problemi che sussistono quando queste immagini non fluiscono bene nel loro transito nella psiche, e dei meccanismi sottostanti al blocco delle emozioni. Ad esempio, nella pratica meditativa come in un sogno o in un esercizio di immaginazione, se ci imbattiamo nell’immagine di un albero, in psicoanalisi ci occupiamo di definire la struttura e la forma dell’albero nella sua immagine per comprenderne il significato, mentre in meditazione ci occupiamo di far “transitare” nella psiche quella stessa immagine. La meditazione non è una sorta di auto-analisi, ma offre l’accesso a una psicoterapia analitica più ampia, dove si lavora affinché i contenuti che emergono nell’individuo transitino nella sua psiche, occupandosi di tutti i suoi immaginari tra cui quelli che determinano la sofferenza e l’ansia.

È inutile tuttavia pensare che gli esercizi corporei come lo yoga, o le pratiche spirituali come la meditazione, da soli siano sufficienti per conoscere se stessi. Queste pratiche, indubbiamente potenti, non risolvono i conflitti emotivi e psicologici che molti di noi mantengono nella propria psiche inconsciamente, e manifestano nel proprio corpo e nel comportamento, ed evocarne le immagini o indurre stati psicofisici di rilassamento non vuol dire di per sé scioglierli e cambiarli.

D’altra parte, parlare di temi psicologici sembra non essere sufficiente per l’essere umano, che aspira sempre a qualcosa di più, al trascendente, alla totalità. Più completa e equilibrata sembra essere dunque una psicologia archetipica o transpersonale, che metta insieme psicoanalisi, benessere fisico e ricerca spirituale aldilà del singolo individuo, riconducendolo al collettivo e alla natura. Poiché tutto è psiche, e tutto è sua manifestazione, è la psiche stessa il principio primo e ultimo di ogni cambiamento, il cui linguaggio sono gli archetipi, ovvero le forme primarie di conoscenza da cui la mente e il corpo si sono evoluti. Attenti dunque a non usare yoga e meditazione come una evasione esotica da se stessi:

“Si fa di tutto, anche le cose più strane, pur di sfuggire alla propria anima. Si compiono esercizi di Yoga indiano di qualsiasi osservanza, si seguono regimi alimentari, si impara a memoria la meditazione, si ripetono testi mistici della letteratura mondiale, tutto, perché non si sa affrontare sé stessi, e perché a gente simile manca ogni fiducia che dalla loro anima possa scaturirne qualcosa di utile. Così gradatamente l’anima è diventata quella Nazareth dalla quale non può nascere nulla di buono; per questa ragione la si va cercando ai quattro venti, e quanto più è lontana e bizzarra meglio è” (Carl Gustav Jung).

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