Riflettiamo sul campo di studio e conoscenza della psicologia archetipica

Nell’affrontare un tavolo di confronto e discussione sui problemi che la psicologia archetipica pone in seno alle generali questioni della psicologia del profondo, vorrei iniziare a riflettere su due temi presi dall’articolo di James Hillman Psicologia archetipica del 1980, Enciclopedia del Novecento (www.treccani.it):

  1. L’anima come tertium tra le prospettive del corpo e dello spirito a definire la posizione del mundus imaginalis (pp.814 sul cartaceo).
  2. La personalità sana immaginata sul modello dell’uomo artistico invece che l’uomo naturale, primitivo e arcaico, o l’uomo politico-sociale con una missione o il razionale-borghese con il suo moralismo (p. 826 sul cartaceo).

Ridefinire l’inconscio

Nel primo aspetto l’anima e la sua dimensione ci mettono di fronte al problema centrale di tutta la psicologia del profondo: la realtà dell’inconscio, la sua ontologia e le implicazioni che ne derivano. Esso è il punto centrale che rende specifica la psicologia dinamica ma è anche il suo punto debole dal momento che comporta l’ammissione di un principio non inquadrabile scientificamente ove con il termine si fa riferimento alla scienza empirica determinista e quantitativa. Di fronte alle esigenze della spiegazione scientifica, la psicologia archetipica sterza bruscamente verso una posizione libera dalle necessità imposte dal metodo sperimentale e dall’epistemologia che ne deriva invocando un’autonomia conoscitiva per metodo e contenuti.

L’oggetto di studio, la psiche, viene ricondotto al mundus imaginalis, termine preso dalla filosofia sciita persiana e ben descritto da Henry Corbin, ritenuto da James Hillman il secondo padre fondatore della psicologia archetipica (ibid. 814). Con esso si vuole dare una nuova definizione che va a sostituire l’inconscio e la coscienza, evidenziando la necessità di dare alla psiche un suo mondo e una sua realtà che non sia vista attraverso il dualismo con l’Io o la coscienza e né come un luogo oscuro e remoto.

Si ricorre a questo termine di origine islamica per la presenza di Corbin nel cenacolo di Eranos e perché in quella tradizione filosofico religiosa andiamo a ritrovare un esempio vitale dell’esistenza dello psichico, altrimenti debole nei rimandi alle fonti occidentali a disposizione. La dissoluzione del mondo psichico a vantaggio dello spirito fatto ad opera del cristianesimo ha comportato una perdita di valore relegandolo prima a idolatria e deviazione maligna poi, con il prevalere del pensiero oggettivante scientifico, a falsa credenza fondata sulla fallacia analogica. L’immaginario è stato rimosso divenendo il luogo dell’illusione causata dalla superstizione e dall’emotività tesa a produrre pensiero magico, infine deviazione patologica.

Il tertium e i limiti dell’energetica psichica

Nel rivendicare all’anima lo statuto di stato intermedio, tertium interposto tra il mondo materiale e quello spirituale -che sia metafisico o matematico-, la psicologia archetipica definisce in modo netto il suo campo di studi e di esistenza, che non può essere assolutamente ridotto agli eventi fisici e neanche alle essenze spirituali. Ne consegue che i mezzi gnoseologici e i metodi d’indagine debbano anch’essi essere peculiari pur conservando aspetti della sfera materiale, l’empirismo, e aspetti della sfera spirituale, la consistenza immateriale e trascendente delle immagini. Questa è una presa di posizione forte e originale, che solo in parte ha avviato Carl Gustav Jung soprattutto con i suoi lavori di alchimia.

Una problematica importante che emerge è il rapporto con l’energetismo dal momento che l’energia, nelle sue accezioni fisicaliste, si pone a possibile risposta di fronte alla qualità immateriale della psicologia che confina con lo spirituale e che è il punto più discutibile in termini di conoscenza scientifica. L’energetica psichica, il tentativo di ricondurre le immagini ad aspetti della fisica comporta l’idea che il lato immateriale sia in sostanza l’aspetto energetico della materia in cui le teorie quantistiche potrebbero fare da supporto per spiegare ciò che va oltre il materialismo riduzionista. Sarebbe un errore considerare l’energetica psichica una possibile risposta, almeno rispetto alla psicologia archetipica, mentre è un campo ammissibile per la psicologia analitica.

L’anima e il mundus immaginalis, non possono essere ricondotti al lato energetico della materia ma si dovrebbe piuttosto trovare una modalità specifica all’anima di comprenderne la natura e il suo esistere.

Il sano come artistico

Questa constatazione apre il secondo punto trattato, che nuovamente trascrivo:

La personalità sana immaginata sul modello dell’uomo artistico invece che l’uomo naturale, primitivo e arcaico, o l’uomo politico-sociale con una missione o il razionale-borghese con il suo moralismo.

Sono queste le accezioni che rimandano al concetto di personalità sana, inteso non di certo in termini di salute mentale ma di riferimento coerente con l’inquadramento della psicologia in quanto dimensione umana di conoscenza. L’artistico riprende il tema del poeta John Keats che vede l’anima come una valle nel quale essa si fa, la valle del fare anima, un’opera in divenire che non ricerca né la salvezza, ovvero l’uscita dal mondo e dai suoi problemi, né la comprensione razionale per un progetto di miglioramento del mondo e delle persone al fine del raggiungimento di un bene superiore. Aspetti questi del vivere ammessi ma non pertinenti della posizione caratteristica dello psichico.

L’arte, intesa come via di conoscenza che segue l’estetica non del bello ma della conoscenza del senso vissuto sulla persona e per la persona, esprime il modo di porsi verso le immagini. L’anima stessa si presenta non come essenza da liberare dalla materia o come sostanza imperitura ma come principio sul quale l’individuo crea e trova se stesso. Per questo nella psicologia archetipica cadono due colonne portanti della psicologia analitica, l’Io e il Sé, portandosi dietro l’idea che l’individuazione sia un processo che obbedisce ad un progetto cosmico sulla scia dell’Atman che ritrova il Brahman o del microcosmo che riflette il macrocosmo e della realizzazione come tensione verso un principio ordinatore assoluto. Non che si neghi tutto ciò, semplicemente esso viene relativizzato, c’è ma non è il fondamento, come l’Io ha una funzione ma non è colui che governa.

L’arte come metodo rimanda al trovare il proprio daimon secondo la “Teoria della Ghianda” di Hillman, il proprio essere originario dal quale si scopre di discendere travalicando le influenze genetiche, famigliari e sociali. Un cammino di indipendenza forte che fa prevalere l’umano e il suo immaginare alla ricerca di un principio invisibile che è una discendenza. Quanto esso esista poco conta, lo si ammette in ragione della critica fatta a tutti i fattori che comunemente si pensa influenzino e determinino l’individuo.

L’arte, inoltre, si opera nel modo di fare anima e dunque nella psicoterapia che si pone a strumento per rendere la persona capace di conoscere e vivere le immagini al di là di un’idea positiva di benessere, guarigione e miglioramento di sé. La psicologia archetipica parte da un’acuta e tagliente critica a tutta la psicologia, prima fra tutte la psicoanalisi, cercando di dimostrare i limiti di un modo di comprendere i fatti psichici che non porta altro che al fallimento delle psicoterapie.

L’approccio artistico alla psicoterapia rivela quindi il tentativo di salvare i metodi psicoterapeutici riconoscendone un loro preciso confine che non deve essere confuso con i metodi di guarigione del corpo e i metodi di salvezza offerti dalle religioni.

L’opera dell’artista rivela nella sua attenzione la ricerca di un senso dell’immagine che possiede una lettura personale ma universale uno strumento per trasformare la personalità sciogliendola nella dimensione dell’immaginazione che è il mundus imaginalis.

Andare oltre l’Io, destrutturarlo per vederne in trasparenza gli agenti e comprendere la complessità politeistica della natura umana, richiede una metodologia terapeutica che aiuti l’individuo a conoscersi senza fuggire da sé. Questo in pratica significa non discendere nella materia né salire nello spirito almeno fino a quando non lo si decida o lo si riconosca come un destino da compiersi.

Immaginazione e finzione per restare nel mezzo

Nel mantenersi nel mezzo si attua un processo terapeutico che obbedisce ad una sua etica e che va a completare un vuoto conoscitivo che ad oggi scienza pura e religioni non sono state in grado di chiarire e forse hanno contribuito alla sua rimozione. 

Tornando all’anima e al mundus imaginalis, possiamo dire che esso si pone come istanza necessaria per dare alle immagini la loro casa o prospettiva che non esclude le altre ma le integra. L’inconscio tradizionale diventa un luogo sì fatto di simboli ma è anche un luogo che per essere reso visibile richiede un modo particolare di porsi in contatto con esso, un’attenzione che non può essere né razionalista ma neanche mistica, intermedia così come lo permette l’esercizio dell’immaginazione attiva e nel processo che Jung definì trasformazione.

Questo accade per mezzo di una finzione, di un ‘come se’ che pone il terapeuta capace di vivere la narrazione come un momento vivo perché non è solo un resoconto storico e non è una trama mentale astratta, nella scena narrata si cerca un’attualità che rende immaginalmente vivo il dialogo ed in esso i processi che il paziente e terapeuta riescono a narrare. In esso c’è tutto quel fattore che riconosciamo ampiamente nelle arti ma che viene usato per entrare nella sofferenza clinica del paziente curando le sue immagini al di là dei canoni normalizzanti.

(Immagine: opera di Roberto Ferri, “Liberaci dal male”, Olio su tela)

8 risposte a “Riflettiamo sul campo di studio e conoscenza della psicologia archetipica”

  1. Avatar Stefano Cobianchi

    In riferimento proprio agli intenti dell’articolo, vorrei focalizzare l’attenzione su tre punti della riflessione che mi sembrano di una certa debolezza gnoseologica. Partendo dal presupposto che la psicologia del profondo debba abolirsi proprio come scienza, come dice Jung, per poter essere considerata “scientifica” e quindi “valida” nel suo stesso approccio alla psiche e nei suoi metodi di indagine, essendo la psiche come sappiamo sia l’oggetto che il soggetto stesso dell’indagine; è in ragione di ciò che Hillman ha posto come metodo di approccio e indagine gnoseologicamente “valido” alla psiche proprio la “fiction“, la finzione, il “come se” e in generale la metafora o analogia, prendendo a prestito da Jung l’approccio ermeneutico ai testi degli alchimisti e dei filosofi orientali, e mutuandone un metodo specifico sia di indagine che di pratica psicoterapeutica, quello chiaramente delineato nell’articolo Psicologia Archetipica sopra citato. In base a questo nostro approccio che è quindi anche un metodo, noi possiamo oggi dire con una certa sicurezza che ogni stesso approccio, teoria e pratica psicologica sia un mero immaginario psichico, come pure la stessa scienza. Per questo motivo Hillman fa emergere, e riporta, la psicologia dal mondo delle immagini ad esso, così come tutti quanti gli immaginari psichici di cui sopra si dibatte. E sostanzialmente questa è, nella fattispecie del mio approccio, la soluzione del problema posto. Ad esempio, quando lei dice “Sarebbe un errore considerare l’energetica psichica una possibile risposta, almeno rispetto alla psicologia archetipica, mentre è un campo ammissibile per la psicologia analitica”, non vedo il motivo per cui considerare “un errore” l’energetica una possibile risposta alla psicologia archetipica, visto che nella sua fiction essa contempla l’immaginario energetico allo stesso modo di tutti gli altri: appunto, come un immaginario psichico. Oppure, quando lei dice che con il mundus imaginalis ” si vuole dare una nuova definizione che va a sostituire l’inconscio e la coscienza, evidenziando la necessità di dare alla psiche un suo mondo e una sua realtà che non sia vista attraverso il dualismo con l’Io o la coscienza e né come un luogo oscuro e remoto”, sappiamo già, come lo stesso Hillman argomenterà in varie sue opere, che uno o più io sono sempre necessari per vedere e fruire delle immagini della psiche e per attivare una funzione conoscitiva del suo mondo, anzi per l’approccio archetipico l’io di volta in volta si fa sempre il meccanismo stesso della finzione.
    In ragione della visione archetipica della psicologia, possiamo anche affermare con una certa sicurezza che l’uomo sia artistico prima di essere ogni altra cosa, ponendo proprio l’ “arte” come condizione di creatio continua di immagini in cui l’uomo è immerso, così come nel sogno in cui egli costantemente vive.

    1. Avatar Riccardo Brignoli

      Onde evitare di cadere in un relativismo immaginale dove tutto è immagine e si può parlare di tutto purché sia definito come un’immaginario credo sia importante ricercare un’identità di pensiero e parole ovvero definire un campo autonomo di conoscenza. Esso non è in contrasto con il pensiero e il metodo scientifico ma se ne distingue come l’anatomia umana di un libro di medicina si distingue da un libro di anatomia umana per artisti. Si parla sempre di un corpo ma lo studio è differente per modo di vedere e per finalità. L’attenzione alla psiche come luogo intermedio tra due precisi ambiti, quello materiale e quello spirituale, mi sembra importantissima e segna anche la differenziazione dal metodo sperimentale con il quale si può mantenere un dibattito interdisciplinare ma non si devono mischiare. La revisione della psicologia promossa da Hillman è una fase di separazione e indipendenza della psiche a cui potrebbe seguire una psicologia effettivamente autonoma come hanno iniziato a fare Bachelard, Durand, Moore o Lopez-Pedraza con i loro tentativi che fungono da esempio e ispirazione.

      1. Avatar Stefano Cobianchi

        E perché non voler “cadere” nel senso di recuperare proprio la base, il livello comune che c’è sotto ai vari sistemi di conoscenza, ovvero proprio il “relativismo immaginale”? Effettivamente, tutto è (anche) immagine e si può parlare di tutto purché se ne definisca un’immagine o un immaginario psichico. È chiaro che ciò comporterebbe a un modo del tutto nuovo e rivoluzionario di guardare al mondo e alla psiche, e credo che sia proprio il relativismo dell’immaginazione psichica la chiave che veramente definirebbe – se veramente accettato e usato come metodo di conoscenza – un campo autonomo di conoscenza. Se non accettiamo che sono le immagini a decidere cosa vediamo, studiamo e conosciamo, davvero si ricade nel positivismo, o nel costruttivismo ecc. Se le immagini sono l’essenza e l’essenziale, è dal loro punto di vista che dovremmo riconsiderare tutto, un po’ come cerchiamo di fare nella terapia archetipica. Con l’amplificazione, ad esempio, noi non facciamo altro che tentare di disporre e rinforzare il punto di vista dell’immagine e per questo “relativo”.

  2. Avatar Paolo Quagliarella

    Quando un uomo realizza qualche cosa, la pone all’esterno di sé, diventa un prodotto e un’espressione artistica. Per Arte non s’intende soltanto la musica, la pittura, la poesia, il cinema, ma tutto ciò che viene creato dall’uomo. La parola arte sembra essere composta dalla radice ariana, “ar” che in sanscrito significa andare verso, aderire, adattarsi. La parola “arto” ha la medesima forma, gli arti ci servono per andare verso, muoverci nel mondo e interagire con esso. In greco “Arnoti” significa muovere, suscitare. Arte in sasncrito si scrive कला” ed è in relazione anche con la danza, performance artistica.- Dove c’è movimento, c’è vita, c’è arte, mi verrebbe da dire.

    L’arte e le sue produzioni, in senso traslato, possono essere identificate come le realizzazioni di qualche cosa che “si muove verso” e che si situa all’esterno, suscitando emozioni. L’utilità della produzione artistica può essere insita nelle intenzioni dell’artista, dell’artigiano ovvero avere uno scopo già chiaro nella testa del creatore che vuole creare opere d’arte, d’intelletto, manufatti che si adattano alle nostre necessità, ma l’utilità può essere anche solo contemplativa e quindi l’autore crea senza uno scopo cosciente per gli altri, crea per una sua necessità personale. Non nasciamo tutti poeti, pittori, musicisti ma possediamo la facoltà di creare “opere d’arte”, che sono anche, semplicemente, pezzi della nostra vita, la nostra vita stessa.

    1. Avatar Riccardo Brignoli

      Bisognerebbe riferirsi all’uso di arte che ne fa Hillman per essere più precisi e dunque ricorrere a lui come fonte. Per questo mi concentro molto sull’articolo psicologia archetipica prendendolo come un punto di riferimento. Per esempio nell’articolo si collega la personalità artistica ad un modo preciso di essere che dà importanza a “la finezza, la complessità e la profondità impersonale, la fluidità animale, vitale, che non tiene conto dei concetti di scelta e decisione, la moralità come dedizione alla plasmazione dell’anima, la sensibilità alle continuità tradizionali, l’importanza della patologizzazione e del vivere ‘al limite’, la sensibilità estetica (p, 826)”.
      Ognuno di questi punti andrebbe analizzato per definire a che arte la psicologia archetipica si riferisce.

      1. Avatar Stefano Cobianchi

        In relazione all’arte, ne “Il lamento dei morti” (Boringhieri, 2014, pg.170) Hillman dice che dovremmo utilizzare tutte le arti, compreso il grande teatro, e in particolare parla della letteratura come sistema di conoscenza e materiale di utilizzo primario dello psicologo archetipico. “La vera preparazione per il bravo terapeuta che deve comprendere la natura umana e decifrare la vita delle persone si trova nella Natasa di Guerra e Pace di Tolstoj, nel Falstaff di Shakespeare: sono le figure vive che rimangono con noi più di qualsiasi essere umano che abbiamo mai conosciuto”…”possiamo imparare più dagli scrittori particolarmente accurati o brillanti o eloquenti che dallo studio dei casi clinici” …. “il vero studio, per il terapeuta, consiste nel leggere di vite che non sono di persone reali ma che incarnano la parte profonda della vita umana, i poteri da cui siamo tenuti in vita e che i bravi scrittori articolano così bene”… “la psicologia non dovrebbe basarsi sulle statistiche, sulla sociologia, in qualunque modo la si voglia chiamare, sulla realtà politica e così via, ma sulla storia vissuta da una vita umana e presentata nella letteratura”… “per me questa è la base estetica del nostro studio, del nostro lavoro, che finora è sempre stato sula strada sbagliata”.
        Personalmente, mi trovo sulla stessa linea di Hillman qui descritta: siamo davanti a una scelta radicale, dobbiamo avere il coraggio di mollare ogni pretesa di scientificità della psicologia rifondandone il campo di studio e conoscenza sulla fantasia e sull’immaginazione, e questa dev’essere la nostra premessa epistemologica, che diventerà anche la nostra nuova gnoseologia e così fonda la psicologia archetipica come scienza autonoma dell’immaginazione. È chiaro, qui, che se la letteratura è il nostro materiale di studio e ricerca, è sempre la letteratura stessa, come narrazione o fiction, il sistema di conoscenza della psicoterapia. In psicologia il sistema di conoscenza è l’oggetto e il soggetto di studio allo stesso tempo: per questo, qualsiasi immaginario psichico si rende come fiction come qualsiasi metodo di indagine su di esso.

  3. Avatar Pierluca Nicolò
    Pierluca Nicolò

    1)Il problema dell’immagine chiede soluzione. L’essere psicologico o la psiche è ciò che rende reale l’universo, senza l’osservazione e la narrazione con l’intermediazione immaginativa, nulla esisterebbe. E sarebbe questa la premessa di base per considerare “immaginario” ogni esperienza della natura, perché senza una narrazione psicologica nessuno sarebbe consapevole della sua esistenza e della sua struttura. Questa radicale concezione nutre gli intenti della Psicologia Archetipica e il suo campo autonomo, la psiche ritorna nella conoscenza da dove era stata scacciata e ne diventa la conditio sine qua non. Come possiamo leggere i libri psicologicamente senza considerare ogni espressione umana come un processo creativo posto in immagini, quindi un immaginario?
    2)L’anima come tertium pone una necessaria fattualità: un fare esperienza attraverso una posizione osservativa o una prospettiva che “crea” il significato (eidos platonico in Re-visione della psicologia, pp. 206-213) e la patologizzazione sarebbe una produzione di prospettive deformate per indebolire la soggettività e aprire la strada alla pluralità ontologica dei soggetti archetipici (Hillman, Psicologia Archetipica, p. 84). Il senso sarebbe negato se i fenomeni dell’esistenza venissero considerati “in-animati”, disconnessi dal senso psicologico ovvero il “conosci te stesso” (perdita di senso e depressione sono i problemi a cui la Psicologia Archetipica cerca una soluzione). Tale condizione viene specificata nella prospettiva energetica-finalistica introducendo la cornice scopistica della psiche oggettiva sovrapersonale. Poichè infatti la psiche oggettiva esprime fenomeni oltre il soggetto, si cerca il significato, psicologico, di ogni fenomeno (sintomi, sogni, propositi, affetti, scelte, convinzioni, valori, ideologie, agiti ed eventi quotidiani) intendendoli come dense manifestazioni transitorie di una dimensione psicologica generale o universale a cui il livello soggettivo della psiche partecipa spontaneamente. Tali forme transitorie vengono definite fantasie archetipiche come potenzialità fuori da ogni determinismo, e l’anima (Plotino non distingueva anima individuale e anima mundi come del resto neanche Hillman) dunque sarebbe la matrice da cui provengono con un fine intrinseco (ontologia) escludendo il causalismo e a cui necessariamente dovranno tornare per produrre senso-significato (“individuazione”). Per Jung conoscenza del senso e individuazione rappresentano la medesima realtà, e questo investe il livello clinico e psicoterapeutico. Per questo la prospettiva energetica che sfocia nel problema psiche-materia propone elementi utili sullo scopo o senso della produzione spontanea di fantasie archetipiche, poiché, dice Hillman (vedi “Il suicidio e l’anima”, pp. 106-107) la concezione energetica antica come reincarnazione o immortalità in chiave archetipica, e la conservazione dell’energia fisica di Mayer come principio scientifico, propongono le medesime prospettive “Nella fisica, la certezza della mente che l’energia sia eterna è data come legge, e corrisponde alla convinzione dell’anima di essere immortale, mentre il senso di immortalità è la percezione interiore dell’eternità dell’energia psichica. Perché se la psiche è un fenomeno energetico, allora è indistruttibile”. Psicologizzare (creare senso psicologico) è dunque un’attività inesauribile.
    3)Facendo una piccola specificazione: superando l’equivoco del costruttivismo post moderno (“nulla esiste senza un ego che osserva”, interpretando erroneamente Heisenberg che voleva dire il contrario) ci rivolgiamo a una visione oggettiva o essenzialista ovvero la realtà essenziale-ontologica, la cosiddetta “psiche oggettiva”, e includo l’universo quantisticamente inteso, indipendente dal soggetto; può essere colta solo assecondando il fluire delle immagini archetipiche che danno informazioni fuori dallo spazio tempo consensuale o esperienza soggettiva. Ciò sarebbe in linea con l’empirismo di esperienza immaginale di Jung (partecipazione alla creatio continua), e con Hillman (l’empirismo esperenziale del Mundus Imaginalis), entrambi rappresentazioni dell’ontologia e spontanea attivazione delle fantasie archetipiche. Le informazioni archetipiche di cui facciamo spontaneamente esperienza a scopo individuativo, mentre esse soddisfano la loro natura intrinseca, non sono forse forme transitorie o configurazioni di un’energia indistruttibile e che si trasforma di continuo? Ecco perché Hillman paragona il principio scientifico della conservazione dell’energia di Mayer a una prospettiva esplicativa che l’anima mundi consente di intuire all’essere psicologico come immagine di sé.

    1. Avatar Stefano Cobianchi

      Nel punto 3) lei dice che la “visione oggettiva o essenzialista” “…può essere colta solo assecondando il fluire delle immagini archetipiche che danno informazioni fuori dallo spazio tempo consensuale o esperienza soggettiva” superando l’equivoco costruttivista che “nulla esiste senza un ego che osserva”. Questo mi sembra un punto fondamentale a cui giunge la riflessione, e provo a riformularlo in una domanda a cui fatichiamo ancora a dare una risposta:
      “Chi è che coglie il flusso delle immagini, anche assecondandolo, se non uno o più io?”
      Hillman rispondeva con parlando di “io immaginale”, da una parte, e poi nelle interviste diceva che un io è sempre necessario a meno di un crollo epistemologico della coscienza, cioè l’esperienza della “morte” così come poi ad essa riporta tutta la psicologia. Io credo invece che l’esperienza della realtà ontologica possa essere già vissuta senza dover per forza morire, e una risposta a questa domanda possa essere data già da vivi, così come non occorra per forza essere morti per essere “essenza ontologica” ovvero “immagine”. Lo siamo già adesso da vivi, ad esempio nei sogni e nei sogni degli altri, cosi come nei ricordi e nell’immaginazione in generale. L’essenza ontologica è già qui, ed è l’immagine psichica e il suo mondo confuso col nostro, la sua dimensione “altra” rispetto alla realitat. Tuttavia, per fare esperienza della realtà ontologica delle immagini oltre l’io, occorre “immedesimarsi” ed essere nell’immagine stessa, un tipo di esperienza esoterica del tipo di quella che facevano gli alchimisti operando sulla materia. È un processo simile a quello che Hillman descrive come “animazione” (vedi saggio sull’Anima Mundi). La materia, le cose hanno un’anima, e noi siamo in relazione con essa ed è a quest’anima mundi che ritorna la nostra immaginazione.
      Occorre qui, a mio avviso, staccarsi dall’idea di una immaginazione psichica passiva e autonoma, dove l’io non partecipa se non come spettatore e che cerchiamo di riattivare in terapia, ad esempio con l’immaginazione attiva, per riallacciarsi a quella unione mistica da cui l’io emerge. Gli alchimisti esortavano, in questo senso, a “vedere secondo natura”. Il problema, in natura, è sempre molto più semplice e già descritto rispetto a quanto razionalmente cerchiamo di immaginare coi nostri sofisticati sistemi di ragionamento logico. Quando siamo, siamo. Il sogno ne è un esempio: una realtà ontologica in cui già siamo. Forse è proprio nel sognare che fluisce al di sotto della coscienza, che sta un aspetto della nostra essenza ontologica.

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