Nell’affrontare un tavolo di confronto e discussione sui problemi che la psicologia archetipica pone in seno alle generali questioni della psicologia del profondo, vorrei iniziare a riflettere su due temi presi dall’articolo di James Hillman Psicologia archetipica del 1980, Enciclopedia del Novecento (www.treccani.it):
- L’anima come tertium tra le prospettive del corpo e dello spirito a definire la posizione del mundus imaginalis (pp.814 sul cartaceo).
- La personalità sana immaginata sul modello dell’uomo artistico invece che l’uomo naturale, primitivo e arcaico, o l’uomo politico-sociale con una missione o il razionale-borghese con il suo moralismo (p. 826 sul cartaceo).
Ridefinire l’inconscio
Nel primo aspetto l’anima e la sua dimensione ci mettono di fronte al problema centrale di tutta la psicologia del profondo: la realtà dell’inconscio, la sua ontologia e le implicazioni che ne derivano. Esso è il punto centrale che rende specifica la psicologia dinamica ma è anche il suo punto debole dal momento che comporta l’ammissione di un principio non inquadrabile scientificamente ove con il termine si fa riferimento alla scienza empirica determinista e quantitativa. Di fronte alle esigenze della spiegazione scientifica, la psicologia archetipica sterza bruscamente verso una posizione libera dalle necessità imposte dal metodo sperimentale e dall’epistemologia che ne deriva invocando un’autonomia conoscitiva per metodo e contenuti.
L’oggetto di studio, la psiche, viene ricondotto al mundus imaginalis, termine preso dalla filosofia sciita persiana e ben descritto da Henry Corbin, ritenuto da James Hillman il secondo padre fondatore della psicologia archetipica (ibid. 814). Con esso si vuole dare una nuova definizione che va a sostituire l’inconscio e la coscienza, evidenziando la necessità di dare alla psiche un suo mondo e una sua realtà che non sia vista attraverso il dualismo con l’Io o la coscienza e né come un luogo oscuro e remoto.
Si ricorre a questo termine di origine islamica per la presenza di Corbin nel cenacolo di Eranos e perché in quella tradizione filosofico religiosa andiamo a ritrovare un esempio vitale dell’esistenza dello psichico, altrimenti debole nei rimandi alle fonti occidentali a disposizione. La dissoluzione del mondo psichico a vantaggio dello spirito fatto ad opera del cristianesimo ha comportato una perdita di valore relegandolo prima a idolatria e deviazione maligna poi, con il prevalere del pensiero oggettivante scientifico, a falsa credenza fondata sulla fallacia analogica. L’immaginario è stato rimosso divenendo il luogo dell’illusione causata dalla superstizione e dall’emotività tesa a produrre pensiero magico, infine deviazione patologica.
Il tertium e i limiti dell’energetica psichica
Nel rivendicare all’anima lo statuto di stato intermedio, tertium interposto tra il mondo materiale e quello spirituale -che sia metafisico o matematico-, la psicologia archetipica definisce in modo netto il suo campo di studi e di esistenza, che non può essere assolutamente ridotto agli eventi fisici e neanche alle essenze spirituali. Ne consegue che i mezzi gnoseologici e i metodi d’indagine debbano anch’essi essere peculiari pur conservando aspetti della sfera materiale, l’empirismo, e aspetti della sfera spirituale, la consistenza immateriale e trascendente delle immagini. Questa è una presa di posizione forte e originale, che solo in parte ha avviato Carl Gustav Jung soprattutto con i suoi lavori di alchimia.
Una problematica importante che emerge è il rapporto con l’energetismo dal momento che l’energia, nelle sue accezioni fisicaliste, si pone a possibile risposta di fronte alla qualità immateriale della psicologia che confina con lo spirituale e che è il punto più discutibile in termini di conoscenza scientifica. L’energetica psichica, il tentativo di ricondurre le immagini ad aspetti della fisica comporta l’idea che il lato immateriale sia in sostanza l’aspetto energetico della materia in cui le teorie quantistiche potrebbero fare da supporto per spiegare ciò che va oltre il materialismo riduzionista. Sarebbe un errore considerare l’energetica psichica una possibile risposta, almeno rispetto alla psicologia archetipica, mentre è un campo ammissibile per la psicologia analitica.
L’anima e il mundus immaginalis, non possono essere ricondotti al lato energetico della materia ma si dovrebbe piuttosto trovare una modalità specifica all’anima di comprenderne la natura e il suo esistere.
Il sano come artistico
Questa constatazione apre il secondo punto trattato, che nuovamente trascrivo:
La personalità sana immaginata sul modello dell’uomo artistico invece che l’uomo naturale, primitivo e arcaico, o l’uomo politico-sociale con una missione o il razionale-borghese con il suo moralismo.
Sono queste le accezioni che rimandano al concetto di personalità sana, inteso non di certo in termini di salute mentale ma di riferimento coerente con l’inquadramento della psicologia in quanto dimensione umana di conoscenza. L’artistico riprende il tema del poeta John Keats che vede l’anima come una valle nel quale essa si fa, la valle del fare anima, un’opera in divenire che non ricerca né la salvezza, ovvero l’uscita dal mondo e dai suoi problemi, né la comprensione razionale per un progetto di miglioramento del mondo e delle persone al fine del raggiungimento di un bene superiore. Aspetti questi del vivere ammessi ma non pertinenti della posizione caratteristica dello psichico.
L’arte, intesa come via di conoscenza che segue l’estetica non del bello ma della conoscenza del senso vissuto sulla persona e per la persona, esprime il modo di porsi verso le immagini. L’anima stessa si presenta non come essenza da liberare dalla materia o come sostanza imperitura ma come principio sul quale l’individuo crea e trova se stesso. Per questo nella psicologia archetipica cadono due colonne portanti della psicologia analitica, l’Io e il Sé, portandosi dietro l’idea che l’individuazione sia un processo che obbedisce ad un progetto cosmico sulla scia dell’Atman che ritrova il Brahman o del microcosmo che riflette il macrocosmo e della realizzazione come tensione verso un principio ordinatore assoluto. Non che si neghi tutto ciò, semplicemente esso viene relativizzato, c’è ma non è il fondamento, come l’Io ha una funzione ma non è colui che governa.
L’arte come metodo rimanda al trovare il proprio daimon secondo la “Teoria della Ghianda” di Hillman, il proprio essere originario dal quale si scopre di discendere travalicando le influenze genetiche, famigliari e sociali. Un cammino di indipendenza forte che fa prevalere l’umano e il suo immaginare alla ricerca di un principio invisibile che è una discendenza. Quanto esso esista poco conta, lo si ammette in ragione della critica fatta a tutti i fattori che comunemente si pensa influenzino e determinino l’individuo.
L’arte, inoltre, si opera nel modo di fare anima e dunque nella psicoterapia che si pone a strumento per rendere la persona capace di conoscere e vivere le immagini al di là di un’idea positiva di benessere, guarigione e miglioramento di sé. La psicologia archetipica parte da un’acuta e tagliente critica a tutta la psicologia, prima fra tutte la psicoanalisi, cercando di dimostrare i limiti di un modo di comprendere i fatti psichici che non porta altro che al fallimento delle psicoterapie.
L’approccio artistico alla psicoterapia rivela quindi il tentativo di salvare i metodi psicoterapeutici riconoscendone un loro preciso confine che non deve essere confuso con i metodi di guarigione del corpo e i metodi di salvezza offerti dalle religioni.
L’opera dell’artista rivela nella sua attenzione la ricerca di un senso dell’immagine che possiede una lettura personale ma universale uno strumento per trasformare la personalità sciogliendola nella dimensione dell’immaginazione che è il mundus imaginalis.
Andare oltre l’Io, destrutturarlo per vederne in trasparenza gli agenti e comprendere la complessità politeistica della natura umana, richiede una metodologia terapeutica che aiuti l’individuo a conoscersi senza fuggire da sé. Questo in pratica significa non discendere nella materia né salire nello spirito almeno fino a quando non lo si decida o lo si riconosca come un destino da compiersi.
Immaginazione e finzione per restare nel mezzo
Nel mantenersi nel mezzo si attua un processo terapeutico che obbedisce ad una sua etica e che va a completare un vuoto conoscitivo che ad oggi scienza pura e religioni non sono state in grado di chiarire e forse hanno contribuito alla sua rimozione.
Tornando all’anima e al mundus imaginalis, possiamo dire che esso si pone come istanza necessaria per dare alle immagini la loro casa o prospettiva che non esclude le altre ma le integra. L’inconscio tradizionale diventa un luogo sì fatto di simboli ma è anche un luogo che per essere reso visibile richiede un modo particolare di porsi in contatto con esso, un’attenzione che non può essere né razionalista ma neanche mistica, intermedia così come lo permette l’esercizio dell’immaginazione attiva e nel processo che Jung definì trasformazione.
Questo accade per mezzo di una finzione, di un ‘come se’ che pone il terapeuta capace di vivere la narrazione come un momento vivo perché non è solo un resoconto storico e non è una trama mentale astratta, nella scena narrata si cerca un’attualità che rende immaginalmente vivo il dialogo ed in esso i processi che il paziente e terapeuta riescono a narrare. In esso c’è tutto quel fattore che riconosciamo ampiamente nelle arti ma che viene usato per entrare nella sofferenza clinica del paziente curando le sue immagini al di là dei canoni normalizzanti.
(Immagine: opera di Roberto Ferri, “Liberaci dal male”, Olio su tela)
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