Il tradimento è il mio destino.

Il tradimento è una tappa fondamentale della vita: quello che permette di diventare davvero se stessi e vivere appieno la propria vita e la relazione con gli altri. Chi rifiuta il tradimento, essenzialmente rifiuta di crescere e accettare se stessi e l’altro, nonché il proprio destino. Nel suo libro “Amare tradire”, Aldo Carotenuto ci ricorda che tradire ed essere traditi è una condizione intrinseca all’esistenza umana stessa:

“Nasciamo traditi, e nella necessità di dover tradire per crescere: una legge karmica che suona come una condanna se non fosse che proprio attraverso le vicissitudini del tradimento viene richiesto a ogni individuo il compito di confrontarsi con la sua costitutiva ambivalenza e di assumerla consapevolmente, così da trasformare la direzione naturale delle pulsioni e divenire in qualche modo artefici del proprio destino di individuazione”.

Il tradimento è essenzialmente un passaggio fondamentale della vita, quello dell’essere consegnati all’altr@. Comunemente, viene visto come una richiesta di aiuto che comporta inevitabilmente il rischio della perdita e dell’abbandono. È un passaggio simbolico nella morte dell’io, in cui il senso del limite e della finitezza è necessario per vivere con pienezza la propria esistenza e le parti della propria psiche che l’io non accetta. Come esorta Carotenuto, bisogna sapersi traditori e traditi:

“Il tradimento porta traditore e tradito a confrontarsi con la morte: chi tradisce ha compreso la necessità di intervenire per modificare una situazione attraverso una lacerazione penosa senza la quale non si dà trasformazione, né ricerca di un destino individuale”.

Se riconosciamo il tradimento come naturale contrario dell’amore, tutto acquista un senso diverso. In ogni amore che non conosce tradimento c’è illusione e distanza dall’altr@, si credere di vivere un amore perfetto ma non si vive nemmeno una reale relazione, se non soltanto la proiezione dei propri desideri sull’altr@. Vivere veramente la vita significa incontrare se stessi attraverso il tradimento, arricchendo il proprio modo di vedere. Certo, questo comporta coraggio. Scoprire la spinta al tradimento dentro di noi o nell’altr@, avere il coraggio di accettarla per scendere in un mondo “altro”, quello dell’anima, dove sofferenza e amore sono legati l’uno all’altro, significa come morire. Ma per rinascere a nuova vita. Amore, fiducia e tradimento fanno la loro comparsa nel mondo nel medesimo istante: non ci può essere amore senza tradimento, e non ci può essere perdono senza tradimento. Rispondendo ad un tradimento con l’odio o con il rancore si arriva a una vendetta che non porta a nulla, anzi blocca qualsiasi crescita e trasformazione. Il tradimento è invece necessario per la nostra crescita, come disse Galimberti:

“Nasciamo infatti nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri […]. In ogni fedeltà che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità
c’è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze, troppa incapacità di amare se si annuncia un profilo d’ombra. Eppure senza questo profilo d’ombra, quella che puerilmente chiamano “fedeltà” è l’incapacità di abbandonare lidi protetti, di uscire a briglia sciolta e a proprio rischio verso le regioni sconosciute della vita. […] Sembra infatti che la legge della vita sia scritta più nel segno del tradimento che in quello della fedeltà, forse perché la vita preferisce di più chi ha incontrato se stesso e sa chi davvero è, rispetto a chi ha evitato di farlo per stare rannicchiato in un’area protetta dove il camuffamento dei nomi fa chiamare fedeltà e amore quello che in realtà è insicurezza o addirittura rifiuto di sapere chi davvero si è, per il terrore di incontrare se stessi, un giorno almeno, prima di morire, con il rischio di non essere mai davvero nati”.

Il significato ontologico del tradimento è già presente nella parola stessa. “Tradisco” deriva dal latino trado, composto da due morfemi, trans e do (= dare). Il prefisso trans implica un passaggio, ed infatti tutti i significati originari di trado hanno a che vedere con un dare qualcosa che passa da una mano all’altra. Trado può così significare l’atto di consegnare in mano a qualcuno (in custodia, protezione, castigo), l’atto di affidare per il comando o l’insegnamento, l’affidar con parole, ovvero il tramandare, il raccontare. Nella forma riflessiva se tradere, il verbo sta a significare il dedicarsi ad un’attività, l’abbandonarsi a qualcosa o a qualcuno, lasciarsi andare: è quindi inteso come consegnare a se stessi l’occasione di una crescita interiore e l’opportunità di vedere e accogliere le proprie zone d’ombra.

“Tradire” è venuto con l’andare del tempo a significare di fatto il proprio opposto, smarrendo o forse occultando le sue valenze originarie. L’inversione dal significato positivo all’accezione negativa corrente s’impone già nella latinità ed a partire dal linguaggio militare. Il contenuto semantico originario di “passaggio” o “consegna” poteva avere come oggetto il nemico, e allora connotare l’atto di consegnargli beni materiali come armi, città ecc., e di farlo, appunto, tradendo. Oggi il termine ha tristemente subito la deformazione bellica – poi inflazionata dal moralismo cattolico – del mancare di fede altrui, dell’usar frode contro colui che si fida, prendendo forse motivo dell’atto nefando di chi consegna al nemico lo stendardo, le bandiere, la fortezza ed in generale ciò che per cui si era giurato fede, un valore morale che si credeva di avere il dovere di difendere. Ma la natura dell’anima è cangiante e polimorfa, e alla morale l’anima contrappone il bisogno di perseguire un’etica del bene che sia fondata non sulle promesse e sui giuramenti, ma sull’onestà intellettuale e sul riconoscimento dei bisogni dell’anima stessa.

James Hillman si è occupato del tradimento in un saggio specifico pubblicato nel suo libro “Puer Aeternus”, e parte dall’esempio di grandi tradimenti della storia, come quello di Gesù, in una prospettiva che sicuramente ci è estranea: quella archetipica, cioè della psiche. Siamo infatti abituati a pensare al tradimento come male oscuro e sofferenza, e Hillman cita l’Eden e l’originario “paradiso terrestre” come immagine archetipica della fiducia originale, cioè di quella credenza in base alla quale le persone a noi più vicine sono quelle che ci capiscono meglio, la nostra base sicura, la terra su cui poggiamo. Questa credenza

“…si riproduce nella vita individuale di ciascun bambino e genitore. Come principio Adamo, con la sua fiducia originale, si fida di Dio, così il ragazzino si fida del padre. Per entrambi Dio e papà incarnano l’imago paterna: affidabile, salda, giusta. […] L’immagine paterna può essere espressa anche con il concetto di Logos, l’immutabile potenza e sacralità della parola maschile”.

Non bisogna però dimenticarsi di Eva, il femminile, cioè l’Anima; è a causa di Eva che Adamo è cacciato dall’Eden, il suo luogo protetto, ad opera del suo stesso Padre, Dio, di cui egli si fidava. Hillman ci dice che però non ci può essere fiducia senza la possibilità di tradimento:

“…entrambi fanno la comparsa nel mondo nel medesimo istante infatti siamo traditi proprio nei rapporti più intimi, quelli in cui è possibile la fiducia originale. Possiamo essere traditi soltanto là dove ci fidiamo davvero: da fratelli, moglie, mariti, non dai nemici, non dagli estranei. Più grandi sono l’amore e la lealtà, il coinvolgimento e l’impegno, più grande è il tradimento”.

Per Hillman il tradimento è necessario. Vivere e amare soltanto là dove siamo al sicuro e contenuti, dove non possiamo essere feriti o delusi, significa essere irraggiungibili dal dolore e quindi essere fuori dalla vita vera. Allora, fu necessario creare Eva, il femminile dell’Anima – non la donna in sé, guardiamoci bene da ogni interpretazione sessista – crearla dall’uomo stesso, anche se questo ha portato alla rottura della fiducia originale, perché ciò ha permesso di uscire dall’Eden ed iniziare a vivere la vita vera. Hillman poi trova nella storia del tradimento e della crocefissione di Gesù i vari aspetti del tradire che è insito all’anima e all’esistenza dell’uomo. Rispetto a Gesù, infatti, non fu un solo tradimento, ma ben tre: oltre a quello di Giuda e di Pietro, e degli apostoli che Gesù aveva previsto, fu il tradimento da parte del suo stesso Padre che lo rese veramente solo.

Hillman a questo punto si interroga sul perché bisogna insegnare a un figlio a non fidarsi dello stesso padre, come in un’antica storiella ebrea. Che cosa significa essere traditi da una persona che ci è vicina? Che senso ha il tradimento nella vita psicologica?
E che senso ha avuto l’abbandono di Gesù da parte di Dio, il sommo Padre?

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”

Sono queste le grida di Gesù sulla croce quando si accorge che Dio lo ha tradito, lasciando solo il suo Figlio. Allo stesso modo di ogni ragazzino col proprio padre, così Gesù era pronto a morire perché aveva Dio vicino. È la fiducia nell’altro che permette l’agire o l’agito: l’essere contenuti, la sensazione di avere sempre un braccio intorno alla vita, permette quello slancio in avanti che porta all’esplorazione, proprio come fa il bambino che scopre il mondo intorno a lui. Secondo Hillman è un finto rischio che ognuno di noi si assume per poter crescere e fare i passi che altrimenti non farebbe:

“È necessario non sapere in anticipo le cose. Non si deve sapere prima che questa volta nessuno ci prenderà
in fondo alla discesa. Essere avvertiti significa essere premuniti e allora
o non si salta più, oppure si salta a metà.”

Ciò che sta tendando di spiegare Hillman è che la rottura della fiducia, il tradimento, permette di passare da un livello di coscienza e
conoscenza ad un altro, più alto, dove non si è più nel giardino dell’Eden, lontani dal male e dal peccato, ma si è nella vita reale, quella in cui chiunque è traditore, o almeno chiunque ami davvero. Perché, vogliamo ribadirlo, bisogna dire chiaramente che vivere o amare soltanto là dove ci possiamo fidare, dove siamo al sicuro, dove non possiamo essere feriti o delusi, dove la parola data è vincolante per sempre, significa essere irraggiungibili dal dolore e dunque essere fuori dalla vita vera. Come dice Hillman, se
possiamo fare dono di noi stessi con la certezza che ne usciremo intatti, magari addirittura arricchiti, allora dov’è il dono? Vivere non è solo amore e felicità, nella vita esiste e deve esistere anche sofferenza e malattia. Nel momento stesso in cui si fa spazio
preponderante l’ombra del tradimento, proprio in quell’istante, non siamo pronti a riconoscere una crescita, una trasformazione dentro di noi, non siamo pronti a perdonare, diventiamo ciechi e pieni di rabbia e abbandoniamo la razionalità per abbracciare l’ira e la follia. Preferiamo ancora vivere nella nostra illusione di coerenza e immortalità.

Il momento di quella che Hillman chiama “la grande delusione” è anche il momento della scelta: una grande opportunità. Non è tanto il tradimento in sé che porta ad una crescita, ma piuttosto la nostra reazione, la scelta che decidiamo di fare: chi è incapace di perdonare e quindi di superare il tradimento rimane fissato nel trauma, ed escluso dalla possibilità di amare. Per questo Hillman delinea in particolare cinque pericoli, modi disfunzionali di reagire alla ferita che il tradimento porta con sé.

Il primo pericolo è la vendetta. E’ una risposta emotiva che mira a saldare il conto ma non emancipa la coscienza perché quando è immediata non ha altro significato se non quello di scaricare una tensione, mentre quando è procrastinata restringe la coscienza in fantasie di astiosità impedendole di fare qualsiasi altra esperienza. Il secondo pericolo è la negazione. Questo meccanismo si concretizza nel negare il valore dell’altro prima idealizzato. Il terzo è il cinismo: non solo si nega il valore dell’altro, ma dell’amore stesso. Se procrastinato questo atteggiamento può condurre al nichilismo, una forma di cinismo portato all’estremo per cui si finisce per non credere più in nulla. Il quarto pericolo di una risposta disfunzionale al tradimento è il tradimento di sé, un meccanismo che porta a considerare le nostre espressioni sincere di affetto, i bisogni affettivi e i valori emotivi più profondi come cose ridicole che si prova vergogna di aver sentito e di sentire. Il quinto pericolo è la scelta paranoide: consiste nella ricerca spasmodica di un rapporto
esente dalla possibilità del tradimento. Può trattarsi di un rapporto palesemente senza amore, ma anche di un rapporto serratissimo basato su conferme continue e patti.

Dall’altra parte, invece, il passaggio fondamentale che permette la reale crescita dell’individuo e l’ingresso nel mondo reale, è per Hillman, il perdono. Ma come prima condizione perché questo sia possibile, egli sostiene, è necessaria la collaborazione dell’altro, e la presa di coscienza della valenza delle proprie azioni. Hillman sottolinea che il perdono da parte del tradito richiede
l’espiazione da parte del traditore, dove l’espiazione, viene sottolineato, non è un modo per mettersi a posto la coscienza, ma è una forma di riconoscimento dell’altro.

“Se l’offesa non è ricordata da entrambi gli interessati (e ricordata come offesa) ricade tutta su colui che è stato tradito. […] Se è solo il tradito a percepire l’offesa, mentre l’altro ci passa sopra con razionalizzazioni, allora il tradimento continua, anzi si accentua”.

Questa elusione in malafede di ciò che è realmente accaduto è, di tutte le piaghe, la più bruciante per il tradito. In questo caso il
perdono diventa più difficile; il risentimento cresce perché il traditore non si assume la sua colpa e non prende con onestà coscienza del proprio atto. Jung ha detto che il senso dei nostri peccati è che dobbiamo assumerceli, ma bisogna prima riconoscerli, e riconoscere la loro brutalità. Il tradimento è il lato oscuro della fiducia e del perdono, ma anche ciò che li rende possibili.

In altre parole, la nostra conclusione al problema di cosa significhi il tradimento per il padre è questa: la capacità di tradire gli altri è affine alla capacità di guidare gli altri. La paternità totale è ambedue le cose. Poiché lo scopo della guida psicologica è che l’altro divenga autosufficiente, ad un certo momento sarà necessario abbandonarlo a se stesso, privarlo di ogni aiuto umano e lasciarlo a esperimentare il tradimento nella sua interiorità, dove egli è solo. Come dice Carotenuto:

“Il processo della crescita […] comporta frequentemente situazioni di rottura, fratture inevitabili destinate a segnare non soltanto l’infanzia o la giovinezza, ma la nostra intera vicenda umana. Se, in altri termini, la nostra vista consiste in un andare avanti, in un progredire incessante di traguardo in traguardo, se l’uomo è alla radice del proprio essere “animale teleologico”, allora, a ogni passeggio verso una fase evolutiva ulteriore, dovremo vivere l’esperienza della frattura”.

Il processo di individuazione di ogni singolo individuo comporta frequentemente situazioni di rottura e fratture inevitabili, destinate a segnare la nostra vicenda umana: poiché solo attraverso il nostro metterci in discussione, attraverso la “caduta”, quindi può scaturire una consapevolezza sempre nuova ed una conseguente spinta ad aspirare a qualcosa che vada oltre la visione abituale che abbiamo di noi stessi e del mondo al quale ci siamo via via sempre più abituati e conformati. È la complessità stessa della nostra anima che ci richiede un continuo confronto con le nostre parti più recondite, e la nostra piena umanizzazione comporta la capacità di restare in rapporto con la molteplicità della psiche, che può stupire e disorientare, a volte purtroppo anche travolgere.
Subire un tradimento può significare essere consegnati ad una morte dolorosa, e provare in prima persona le ferite dell’abbandono e della perdita di ogni riferimento abituale. Ma la psiche, nel suo linguaggio simbolico e immaginale, ci insegna a vivere ogni morte come un rito di passaggio a nuove forme di esperienze dell’esistenza, a cui inevitabilmente siamo destinati.

(Immagine: Lucas Cranach, Adamo ed Eva. Olio su legno, 1956)


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