Problemi di relazione: quale soluzione?

“Perché mi fa stare così male?”, “Perché non sono più soddisfatt@?, Perché l’altr@ non mi capisce?”, “Perché discuto continuamente?”, “Perché ho problemi sul lavoro?”, “Perché non sono felice?”.

Sono solo alcune delle tipiche domande che i pazienti portano in studio all’inizio di un’analisi. Già il fatto di arrivare con una domanda come questa significa che è in atto un processo di cambiamento e trasformazione, a cui siamo inconsciamente soggetti e che inevitabilmente ci colpisce. Il problema si presenta in quanto siamo noi stessi che resistiamo a questo cambiamento, e spesso gli facciamo pure una stregua opposizione. Il conflitto con l’altro è un problema piuttosto comune, direi universale: basta aprire i social network per rendersi conto quanto oggi la gente si opponga all’altro senza poterne fare a meno, e quanto lamenti continuamente una propria tristezza, una insofferenza o un’insoddisfazione di fondo scrivendo post e girando meme su internet. Potete voi stessi domandarvi che uso fate giornalmente dei vostri social: difficilmente potrete rispondervi che non li usate per lamentarvi di qualcosa ed esprimere il vostro dissenso. È chiaro che non si puo’ andare d’accordo con tutti e che esprimere le proprie idee e la propria opinione è un sacrosanto diritto oltre che un bisogno sociale, tuttavia l’intensità e la durata del sentimento negativo che dietro di essa nascondiamo e ci portiamo appresso è un indice della nostra stessa opposizione alla relazione con l’altro che da una parte desideriamo, ma che soffriamo nella nostra coscienza. Oggi più di ieri, spesso anche in età avanzata, viviamo l’estrema difficoltà ad avere rapporti sinceri e duraturi per poter vivere la propria vita con soddisfazione.

D’altra parte, ogni psicoterapeuta sa bene che i pazienti entrano in analisi portando una visione egocentrica e lateralizzata del mondo, che si manifesta proprio in tutte le opposizioni e i giudizi morali vissuti rispetto all’altro, alle sue decisioni e ai suoi comportamenti. Ciò costituisce pressoché il problema principale e il motivo stesso per cui essi arrivano a chiedere aiuto all’analista, pieni di sintomi, dubbi e problemi. L’analisi inizialmente servirà quindi a far conoscere sé stessi, aiutando il paziente a rendersi conto che lo squilibrio interiore che vivono è dovuto alla loro stessa ostinazione al non riuscire a cambiare atteggiamento nel senso di una accoglienza del punto di vista altrui, ciò dovuto a una incapacità e immaturità nel saper riconoscere che l’altro, così come lo vediamo e percepiamo, è solamente una nostra proiezione, ovvero l’immagine che noi stessi abbiamo dentro di noi dell’altro, che quindi rappresenta immancabilmente ciò che in noi stessi accettiamo o rifiutiamo. Tutta la prima parte di una analisi consiste principalmente nel ritirare le proprie proiezioni dagli altri e dal mondo, al fine di ritrovare un equilibrio energetico perduto, raramente vissuto nei pazienti sin dal distacco dalle figure genitoriali nella prima infanzia.

Ma in che cosa consistono queste proiezioni, e perché la nostra vita psichica viene determinata da questo processo, cioè dall’impossibilità di ritrovare se stessi senza ritirare le proprie proiezioni dall’altro? Carl Gustav Jung lo chiamava processo di individuazione: per lui ognuno di noi nella vita attraversa un percorso di trasformazione, che va dalla nascita alla morte, sia sul piano interiore che su quello esteriore della propria esistenza. L’energia psichica, identificata con la libido, nasce nella psiche dalla separazione, da un’unità primordiale fusionale con la madre, in soggetto (il neonato) e oggetto (la madre e gli oggetti del mondo esterno, quindi gli “altri”). L’io, ovvero il centro della coscienza, si sviluppa perciò in ogni individuo come contrapposizione tra sé e il mondo. Risvegliandosi come pulsione libidica in ogni desiderio che abbiamo ogni giorno, l’energia psichica si manifesta sottoforma di immagini di relazione con un oggetto, come ad esempio la fame, l’amore, la paura, e così via. Queste opposizioni tendono nella loro stessa tensione alla reintegrazione in una unità che costantemente nella vita sentiamo di aver persa e verso cui ci sentiamo in debito. Ma la libido non è solo l’energia: come sinonimo di desiderio, essa ha sempre una direzione verso un oggetto, essa “sa” sempre cosa le manca e contiene sempre l’immagine del suo scopo e di ciò verso cui essa tende. L’analisi delle immagini della propria psiche, a cui ci l’analista ci introduce rivedendo con lui come “allo specchio” gli immaginari presenti nei propri pensieri diurni come nei propri sogni, serve proprio per poter ri-vedere e ri-conoscerne il tèlos o direzione, nonché il significato simbolico che esse rivestono nella relazione, così come esso transita nella nostra psiche, che le rappresenta continuamente attraverso l’immaginazione sull’altro e sul mondo esterno. Ma qual’è lo scopo finale di tutto questo continuo desiderare, e perché esso rimane spesso insoddisfatto?

Quando non riusciamo a soddisfare il desiderio e a sentirci ricongiunti con l’oggetto della relazione, succede che viviamo un forte vissuto di insoddisfazione, che puo’ condurci alla rabbia e alla tristezza, fino alla delusione, alla disperazione e alla depressione. Così ci ostiniamo ad agire contro l’altro, o contro il motivo che crediamo sia l’origine del nostro problema, mentre l’origine di esso è sempre dentro di noi, ovvero nell’origine del nostro desiderio stesso. L’energia o libido parte infatti da un centro e sempre ad esso tende a ritornare. Allora la nostra vita, in generale come in ogni suo momento, è determinata dal viaggio che fa la nostra libido attraverso il mondo verso il suo destino, costituito dal ritornare all’origine nel suo centro. Il fine della libido, infatti, non è né il soggetto né l’oggetto, ma c’è sempre una relazione ternaria in cui l’energia parte da centro e passa attraverso il soggetto che la percepisce, per essere proiettata su un oggetto che la riceve e che ce la riflette, affinché noi lasciamo che essa torni alla sua origine o centro.

E’ attraverso la riflessione psicologica che questo processo puo’ avvenire nel suo movimento di ritorno verso noi stessi. L’io, che si sente soggetto incompiuto perché diviso dall’oggetto del suo desiderio e strappato da questa relazione unitaria in modo violento, nel progressivo costituirsi della sua esperienza quotidiana concepisce relazioni col mondo guidate da desideri o timori, e cerca di identificarsi con gli altri, avvero con gli oggetti che la libido crea proiettando le forme simboliche del suo desiderio nella realtà esterna del mondo. Lo scopo dell’essere umano, qui, è quello di acquisire conoscenza del significato simbolico di questa continua esperienza, per ricostruire l’identità originaria della relazione io-oggetto. Se la vita psichica è relazione, ciò comporta che ciascun individuo sia simultaneamente soggetto e oggetto, centro e periferia di una vasta e complessa rete di connessioni e corrispondenze, che ci rimane perlopiù inconscia. La nostra personalità ha infatti una struttura composita e policentrica, che l’io cosciente è man mano chiamato a conoscere ri-conoscendone le immagini così come esse gli si presentano nella psiche.

Nel meccanismo di questa continua proiezione, quando (raramente) accade che gli altri facciano esattamente ciò che vogliamo o che dicano ciò che pensiamo, o che riusciamo a ottenere ciò di cui crediamo di aver bisogno, la corrispondenza tra pulsione del soggetto e la qualità dell’oggetto ha inizialmente l’apparenza di una mirabile armonia prestabilita, di una pace dei sensi; in realtà, è questo il piacere effimero della momentanea sospensione del conflitto generato dal meccanismo della proiezione nella coscienza. Più ci nutriamo di questo transiente appagamento, più ci sentiamo tronfi e appagati come dopo una bella abbuffata, noncuranti di stare man mano allargando il nostro stomaco così come il bacino del vuoto di desiderio che noi stessi stiamo creando dentro di noi per successivamente sentirci appagati. La “fame” di relazione sarà sempre maggiore, così come la relazione sarà sempre più di dipendenza dall’altro, cioè spostata sulla reale presenza dell’oggetto del desiderio e dalla sua effettiva ed efficace coincidenza col nostro bisogno come pulsione. L’altro, come oggetto del desiderio, diventa come una droga, che deve essere sempre più intenso e stimolante per poter soddisfare le sempre più grande dimensione di un io gonfio di sé stesso a dismisura.

La fame di contatti sui social, di likes e di followers, di qualcosa da fare insieme, di qualcuno da conoscere e magari portare a letto, o anche solo semplicemente qualcuno con cui passare il tempo, fa parte della grande e insaziabile abbuffata di contatti e relazioni che oggi viviamo come maggiore problema sociale, il quale nasconde l’ombra di vuoto interiore, tanto grande e intenso come il bisogno dell’altro e della sua conferma della relazione e della soddisfazione del bisogno. Così come il pensiero principale di un tossicodipendente è quello di come procurarsi e avere sempre la dose, allo stesso modo quello di ognuno di noi oggi è diventato la conferma che io sono buon@, brav@, bell@, efficace, “winner” e non “loser”, e soprattutto che cessi questo continuo bisogno di sentirsi soddisfatti degli altri e di ciò che con essi facciamo. D’altra parte, la società moderna e le stesse istituzioni oggi ci spingono a fare sempre meglio, a lavorare di più e a preoccuparci di ciò che pensano di noi gli altri, ma non sempre in un senso costruttivo per la nostra personalità, molto spesso invece in modo disgregante. Come puo’ avvenire, allora, in una società così piena di proiezioni e di illusioni di amore, di affetto e di reale interesse per il benessere dell’altro, che noi possiamo riuscire a raggiungere la capacità di ritornarle alla nostra libido, al nostro centro, senza che esse si perdano sull’oggetto illusorio frammentando la nostra identità e disperdendo il nostro processo di individuazione nella sola identificazione con l’altro?

L’uomo ha un istinto di dare un nome alle cose per conoscere e descrivere se stesso nelle proprie immagini interiori attraverso il mondo: l’identità di ogni individuo diventa così “riflessiva”, perché è riflettendo attraverso le cose che conosce che egli conosce se stesso e le proprie cose. Nella storia di ciascun individuo l’identità è un bene indispensabile per la salute e la sussistenza psichica, come fosse un cibo e nutrimento che viene assimilato attraverso la realtà esteriore per quella interiore. All’inizio è necessario proiettare, altrimenti non si istituisce nessun rapporto, nessuna relazione con l’altro. L’apparato proiettivo deve necessariamente operare in noi: senza il fattore proiettivo inconscio non si puo’ vedere nulla. La nostra attenzione percettiva è in grado di vedere e percepire l’altro, e il mondo in generale, soltanto proiettando su di esso le proprie immagini, idee e aspettative, altrimenti tutto passa sullo sfondo e nulla entra nello spazio della coscienza. Ecco perché secondo la filosofia indiana tutta la realtà è una proiezione, una illusione, e da un punto di vista soggettivo ciò è assolutamente vero. Per noi esiste solo ciò su cui noi facciamo delle proiezioni, ciò su cui noi rivolgiamo il nostro modo di vedere, che per ciascun altro individuo puo’ certamente e essere ben differente. Eppure, possiamo riconoscere una qualità in un altro solo se abbiamo la stessa qualità in noi stessi, e diventarne consapevoli. Se per caso osserviamo l’altra persona senza prima averne una certa immagine, e la consapevolezza del suo significato nella nostra memoria, noi non possiamo essere in grado nemmeno di riconoscerla o vederla: essa rimane sullo sfondo come qualsiasi forma e oggetto a noi insignificante.

Sono tre i processi di cambiamento, o trasformazioni, che siamo chiamati ad attuare nella nostra psiche per raggiungere un grado di stabile benessere, soddisfazione dell’altro e propria realizzazione.

Nella prima trasformazione, l’uomo si solleva al pensiero dell’immersione nell’immediatezza concreta della soddisfazione del proprio desiderio dall’altro. Ciò avviene quando le proprie proiezioni su un oggetto o una persona sono ripetutamente “sbagliate”: il desiderio non viene soddisfatto, e l’uomo è forzato a pensare e riflettere sul perché del suo insuccesso o della sua insoddisfazione. Qui è fondamentale l’aiuto di una guida, di un mentore come di uno psicologo o una persona che non sia coinvolta nella proiezione ma che, attraverso il transfert, la rievochi aiutandoci a comprenderne il nuovo valore nella nostra psiche. Il fallimento del ritiro delle proprie proiezioni in questa fase puo’ portare ad agiti estremi, come fughe da relazioni, violenze e scenate, fino all’omicidio o il suicidio. Lo psicoanalista aiuterà invece il soggetto ad analizzare il valore simbolico di ciascuna immagine-oggetto della proiezione sull’altro, per ricondurlo all’ “omicidio” o “suicidio” non letterali, ma “immaginali”, che simbolicamente la psiche spinge a far avvenire nella psiche stessa del soggetto, quale morte-rinascita e trasformazione dell’immagine psichica proiettata: ciò costituirà parte della nuova visione dell’altro, e del mondo intero, che il paziente ricostruirà durante il percorso analitico nelle sedute successive. In questo senso, quando manifestiamo sintomi depressivi ( ma anche già una protratta rabbia, sofferenza o insoddisfazione), “l’opera è già iniziata” come dicevano gli alchimisti, e il paziente è costretto a chiedere aiuto all’analista per poter andare avanti.

Il secondo livello di realtà che siamo chiamati a raggiungere con la nostra coscienza è quello dell’essenza o qualità degli oggetti del desiderio, nella loro molteplicità e mutevolezza. Quando il paziente matura questa capacità e raggiunge questa funzione, si produce un salto di qualità in ogni esperienza di relazione e in ogni livello della sua vita: la libido riesce a distinguere e staccare autonomamente dall’altro la sua essenza significante, che non apparterrà più al mondo delle cose, ma all’anima e alla realtà interiore. La psiche del paziente è ora in grado di riconoscere come sua quella essenza concepita nel rapporto con l’altro e nella relazione, e non potrà che riappropiarsene come virtù e saggezza. Col ritiro delle proiezioni, la libido non più alienata ritorna al soggetto e la sua identità si ricostituisce. Si apre a questo livello anche una nuova facoltà morale: l’altro nella relazione non è più un oggetto e un mezzo di soddisfazione del proprio desiderio, ma una nuova coscienza e un proprio fine. E’ possibile ora una reale esperienza di giustizia, compassione, solidarietà e carità verso l’altro, fino alla serena convivenza e a un nuovo modo di amare.

Questa facoltà di liberare l’essenza dalle cose e dall’altro prepara la via al terzo livello di trasformazione, quello dello “spirito”: l’esperienza continua e ripetuta del riavere indietro le proprie proiezioni ci rende autonomi nel generarci benessere e soddisfazione. Non ci sentiamo più soli in assenza dell’altro, perché ora siamo capaci di concepire la realtà immaginale delle emozioni e dei concetti morali aldilà di quella materiale. L’esperienza è quella di una continua sensazione di avere a che fare nella vita quotidiana con qualcosa di permanente, resistente ed eterno: qualcosa di reale e allo stesso tempo divino per esistere, come il reale senso della nostra vita, come il vero amore per l’altro, che servirà ad ancorare e dare fondamento all’ “insostenibile leggerezza dell’essere” come dice poeticamente Milan Kundera. Questa nuova realtà spirituale rende il paziente in grado di applicare finalmente a se stesso il potere di estrarre “l’oro dalla materia nera” come dicevano gli alchimisti, ovvero l’essenza immortale dal substrato fallace, operando in se stessi una vera metamorfosi critica e un capovolgimento del rapporto tra essenza e substrato: egli sente ora di essere “sano” perché intero nell’unità di se stesso e del mondo o con l’altro, e per questo metaforicamente “immortale”. La libido ritorna al suo centro, e ogni conflitto psichico viene facilmente risolto e persino prevenuto. Il desiderio scomposto cessa, così come il desiderio dell’altro come sola sete e bisogno, lasciando il posto a una felicità senza desiderio dell’amore corrisposto ogni momento, data invece dal sentirsi unici e totali con tutto il resto, e con tutte le dimensioni non corrisposte dell’altro. Si amerà l’altro come sé stesso, come il proprio mondo. E tutto quello che si vive continuerà a vivere per la sua essenza nella nostra psiche.

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