Gli “stati di coscienza”: dalle esperienze spirituali alla fiction

Introduzione

L’articolo intende offrire dei contributi sui particolari stati di coscienza in cui ognuno di noi potrebbe sperimentare le potenzialità della psiche che numerosi autori della psicologia del profondo attribuiscono all’azione sapiente dell’inconscio, inteso come inconscio collettivo. Queste esperienze hanno un comune denominatore: l’abbassamento della soglia di coscienza (Janet) come condizione necessaria per il ridestarsi del “cosmo interiore”, in grado di generare le trasformazioni più radicali della personalità. Tali temi saranno trattati con contributi scientifici e culturali, cercando di limitare i riferimenti alla clinica terapeutica, che va praticata nelle sedi opportune, ovvero i setting terapeutici e i contesti formativi in cui si discutono teorie, tecniche e applicazione delle stesse ai casi clinici reali.

La molteplicità dell’essere psicologico: stati ordinari e non ordinari di coscienza

Come possiamo intendere la locuzione “stati di coscienza”? Gli stati di coscienza prevedono una o più esperienze psichiche che hanno un carattere prettamente interiore, che coinvolgono canali percettivi attraverso un susseguirsi di immagini cariche di affetto (ovvero emozioni e sentimenti) nella cui esperienza si struttura una consapevolezza di sé e della vita molto più ampia e ricca di significato. Quello che ho descritto come esperienza psicologica veicola necessariamente verso uno spontaneo mutamento della personalità, che tende in modo altrettanto spontaneo al superamento dei conflitti interiori: unisce i cosiddetti opposti psichici.

Gli stati di coscienza si possono dividere a seconda dell’esperienza affettiva o la condizione che generano impattando sulla personalità in modo stabile o momentaneo: stati di coscienza ordinari e stati di coscienza non ordinari. Gli stati di coscienza non ordinari possono essere patologici (con dissociazione e allucinazioni per estremi) e si caratterizzano per sofferenza e disgregazione, percezione allucinatoria della realtà concreta, mondo interno ed esterno si fondono in unica dimensione in cui la coscienza soggettiva, l’identità, si trova in costante allerta e in pericolo di annullamento. I miti e le fiabe propongono immagini di draghi, mostri e demoni divoranti rappresentando simbolicamente paure ancestrali inconsce che ancora albergano dentro di noi. Negli stati di coscienza non ordinari in cui non si ha uno stato patologico, si susseguono esperienze in stato di sonno (sogno) e di veglia (fantasie improvvise, visioni) che utilizzano il canale immaginativo intenso. Il risultato spesso è una comprensione più profonda di sé e della vita, una vera espansione di coscienza che esclude la volontà e il pensiero logico. Esempi di questo tipo a livello storico sono le documentate esperienze visionarie considerate spirituali, e in psicologia considerate da Jung esperienze di sincronicità. Aggiungo io un ulteriore esempio, un’opera d’arte veicolerebbe verso uno stato di coscienza non ordinario: l’opera infatti viene eseguita attraverso una “mente” dietro la consapevolezza logica che conosce già la forma finale, e chi ne fa esperienza in seguito ammirandola, si connette con una realtà già data fatta di affetti, immaginazione e simboli che richiamano esperienze interiori di tutti gli uomini, espandendo i limiti soggettivi di comprensione, aprendo anche per pochi attimi a un’esperienza di senso unitario con il mondo, con la specie. Uno stato non ordinario di coscienza possiamo dire sarebbe connesso all’azione dell’inconscio collettivo in modo accennato (indiretto o simbolico) attraverso le immagini archetipiche cariche affettivamente.

Il pensiero direzionato e il fantasticare

Jung fa infatti una distinzione tra pensiero direzionato (logico, razionale e causalistico) e uno fantastico, ovvero il pensiero per immagini cariche di affetto (cfr., Jung, 1911\1956, Simboli della trasformazione). Mentre il primo è faticoso ed è un pensare per gli altri, ovvero mette in rapporto il mondo interno in stretto collegamento con i canoni delle relazioni sociali, la comunicazione e i compiti che si hanno nel collettivo, il pensiero fantastico si caratterizza per un fluire incessanti di contenuti immaginali spesso personificati, analoghi alle mitologie o le fiabe che l’umanità ha elaborato nel corso della faticosa unità (illusoria secondo la psicologia analitica archetipica) della coscienza, che a parere di Jung tende in stati patologici (vedi disturbi dissociativi o i complessi a forte tonalità affettiva) e anche ordinari, a generare condizioni per una “coscienza multipla”. I vari stati di coscienza sarebbero più o meno collegati tra di loro come un arcipelago. Si deve ribadire che per l’equilibrio psichico il pensiero fantastico non deve mai inflazionarsi rispetto al pensiero direzionato e viceversa. Ognuno deve essere coltivato allo stesso modo, dovrebbero avere la stessa importanza.

L’uomo moderno-contemporaneo invece tende a sviluppare in modo unilaterale il pensiero direzionato, distaccandosi dal pensiero naturale e originario della specie. Si rischia così costantemente di essere soverchiati dalla forza con cui questa natura psichica chiede spazio, e che si potrebbe riprendere, come la natura concreta fa in autonomia, da un momento all’altro con esperienze sofferenti.

Le immagini archetipiche e la numinosità

Per farla breve, secondo Jung gran parte della nostra salute psicologica dipende dal modo con cui ci rapportiamo ai prodotti autonomi e spontanei del pensiero fantastico, che nel suo corpus teorico viene definito inconscio collettivo (anima mundi per Hillman mutuandolo dall’immagine filosofica di Platone e poi Plotino) in cui risiedono le immagini originarie (archetipi). Quindi se parliamo di “stati di coscienza”, abbiamo necessità di intenderli come direttamente collegati e prodotti dalla numinosità delle immagini archetipiche. Numinoso è un termine coniato da Rudolph Otto (teologo) per descrivere l’esperienza del sacro. L’esperienza numinosa comporta un misto di timore, fascino e una profonda percezione di una realtà “totalmente altra”.

In questi termini, in chiave psicologica, possiamo fare esempi che riguardano i percorsi “iniziatici” nelle discipline spirituali (religiose e esoteriche) di grandi personalità che hanno affrontato la via iniziatica verso i segreti dello spirito e allo stesso tempo della natura. Dico questo perché gli autori del profondo a partire da Freud sapevano bene che le esperienze numinose o spirituali sono state classificate come tali perché non è mai esistita una “scienza dell’anima”, una psicologia che potesse spiegare o classificare in chiave psicologica (non necessariamente clinica) questo tipo di esperienze documentate dal mito, dalle leggende, dalle religioni, dallo sciamanismo e dalle discipline esoteriche, interessate però alla materializzazione di principi metafisici. La psicologia analitica archetipica è interessata a collocare questi fenomeni nella natura descrivendoli con il relativo processo psichico naturale: ovvero l’esperienza diretta che si propone alla coscienza sotto la forma di contenuti immaginativi più o meno intensi.

Von Franz infatti ci dice che i termini materiali o spirituali sono etichette che apponiamo da sempre alle nostre esperienze psichiche: la prima riguarda le esperienze sensibili esterne, l’altra le esperienze interiori, che sono separate soltanto dalla nostra coscienza soggettiva che vive esperienze spaziali e temporali definite e progressive, mentre nella psiche inconscia la separazione viene meno per lasciare spazio al “mondo unico” dove psiche e materia sono intrecciati citando fisica moderna e sincronicità (L’asino d’oro, 1983, Boringhieri, 1985, pp. 168-169). L’esperienza psichica è dunque il dato di realtà più immediato poiché investe la coscienza di immagini dense, ovvero che veicolano emozioni e sentimenti: la qualità dell’esperienza infatti acquista altri attributi in un secondo momento. Mi colpisce dalla mia esperienza clinica e di confronto, che nel collocare queste esperienze nelle potenzialità psicologiche collettive, molti considerano la “psicologizzazione” come direbbe Hillman, una banalizzazione dell’esperienza declassandola alla normalità, un appiattimento o addirittura una sua svalutazione, proprio perché un’esperienza considerata metafisica si erge nella mente come credibile e letterale rispetto a un’esperienza considerata psichica (cioè che ha a che fare con l’immaginale) e quindi inserita nelle potenzialità della natura a cui la psiche appartiene.

Secondo Hillman però l’anima-inconscio sarebbe impegnata costantemente nella noesi (da nous: senso/significato) ovvero genera rivelazioni, illuminazioni, piene di senso e importanza. Citando James (Le varie forme dell’esperienza religiosa, 1902), rispetto alle esperienze di rivelazione religiosa, dice che i prodotti dell’immaginazione umana (archetipi) quando si attivano in noi autonomamente acquistano qualità noetiche e sarebbero classificabili quindi come stati di coscienza-conoscenza. (Hillman, 1985, La vana fuga dagli dei, Adelphi, 2012, p. 69).

Ebbene insisto sulla condizione psichica sotto forma quindi di immagini di tali esperienze, perché sappiamo che sono in grado di portare esperienze interiori che mutano la personalità. E la psicologia come scienza a prescindere dall’approccio teorico pratico intende curare i disagi psichici e per farlo deve studiare e comprendere le dinamiche della trasformazione psicologica, che è alla base della “guarigione dei sintomi”. Questa coincide sempre o quasi, con l’ampliamento della consapevolezza di sé e del mondo-natura, con un’espansione di coscienza e un radicale cambiamento della Weltanschauung, una visione del mondo rinnovata.

“Lasciare accadere” e individuazione

Poiché queste tematiche possono essere lette in numerosi stili culturali, bisogna per questioni di spazio e tempi, delimitare il campo di indagine e discussione. Tra le tecniche analitiche, analitico è ogni procedimento che indaga i processi spontanei della psiche, non generati dalla volontà cosciente, Jung elabora la tecnica dell’immaginazione attiva: entrare in contatto con le fantasie personificate della psiche e lasciare che strutturino una trama e un racconto senza opporsi o intervenire per modificare coscientemente il corso degli eventi immaginati, le dinamiche dei personaggi e le forme che si attivano spontaneamente. Prendendo spunto dalle tecniche meditative millenarie dell’oriente e dalle tradizioni sciamaniche, in cui il motto dice Jung sarebbe “lasciare accadere” (cfr., Commento al “Segreto del fiore d’oro”, 1938, in opere 13, Boringhieri, 2002, p. 28) la cura della psiche passa per il ritrovamento della saggezza e l’equilibrio prima di tutto nella conoscenza del proprio mondo interno, per poi portare quanto conosciuto nella propria vita, nel mondo concreto. E noi quanto siamo in grado di lasciare accadere? Quando saremo in grado di lasciare accadere l’immaginazione, scopriremo una stabilità interiore molto più forte, perché tutto quello che ci ha minacciato dall’interno lo abbiamo conosciuto, sofferto e compreso come modelli innati della nostra personalità che coincidono con i prodotti comuni all’intera umanità dall’origine. Quando gran parte di questi prodotti si sarà rivelata, saremo in grado di riconoscerci davvero, e metaforicamente raggiungeremo quello che le religioni e le discipline filosofico-spirituali chiamano “illuminazione”, per la psicologia una consapevolezza di noi stessi e della vita più elevata. 

Lo sciamanismo e gli stati non ordinari di coscienza

Nello sciamanismo quanto abbiamo descritto veniva praticato con i sogni lucidi, esperienze che vengono definiti “viaggi sciamanici” e con le tecniche dell’estasi ci dice Eliade, un vagare nell’aldilà metafisico in cerca di risposte sagge a problemi reali della comunità: insomma in chiave analitica veniva interrogato l’inconscio collettivo. Questo viaggio al limite si può intendere come un viaggio interiore, un viaggio nell’inconscio primordiale in cui la memoria universale rimane costante e si compone di forze vive, che parlano, che interagiscono col viaggiatore-sognatore, che portano soprattutto la saggezza dell’uomo e di un’intera collettività. Per quale motivo si trova un parallelo con queste dimensioni culturali? Lo sciamano era un sacerdote e un medico, si occupava di cura e promozione della salute in rapporto con il divino e il suo specchio ovvero la natura, partendo dai conflitti dell’anima. Noi siamo scienziati e ci interessiamo delle dinamiche che contribuiscono alla cura della psiche; loro infatti curavano l’anima degli altri con i viaggi interiori, proiettando l’inconscio collettivo nelle esperienze spirituali e nei misteri del mondo naturale. Noi sappiamo oggi con la psicologia dell’inconscio che i misteri si celano anche nel profondo della nostra psiche, non solo nella natura concreta. Secondo questa dimensione della cura arcaica, se interroghiamo la psiche profonda, essa darà le risposte che cerchiamo a patto di comprendere lo psichico linguaggio innato: i simboli e le immagini originarie.

Eliade non condivide l’approccio psicologico (inteso come l’unilaterale visione clinica) applicato allo sciamanismo sostenendo che gli psicologi considerano le esperienze sciamaniche simili alle malattie mentali (Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, 1975, Mediterranee, p. 8). Inaccettabile dice. Eliade va in un equivoco, anche di pregiudizio sulla malattia mentale a mio avviso: la psiche è collettiva e le esperienze interiori sono comuni a tutta l’umanità con impatto diverso da individuo e culture. La malattia infatti sta nel non riuscire a dare senso psichico ovvero di conoscenza profonda di sé e del mondo, ad alcune dimensioni con cui l’autonomia dell’inconscio si manifesta. Ma Eliade stesso non può non confermare, dice lui, che le iniziazioni sciamaniche partono da una crisi esistenziale profonda, da un distacco dalla realtà concreta per sprofondare nel mondo interiore.

Così come sarebbe universale nella specie umana la tendenza della psiche naturale a creare sogni, esperienze, immagini, fantasie, affetti e perfino allucinazioni che riguardano l’ascensione, facendo pensare intimamente all’uomo stesso che il suo vero luogo di appartenenza sia il Cosmo (ibidem, pp. 10-11).

Poiché il cosmo è la natura concreta, l’immaginazione spontanea sarebbe il cosmo interiore, che è stabile nelle sue infinite possibilità e allo stesso tempo in continua espansione e creazione di contenuti che non sono fatti dalla volontà umana. Quindi in chiave di inconscio collettivo, in chiave psicologica, non siamo interessati solo alle classificazioni patologiche ma anche alle risorse creative della psiche naturale che con simboli universali carichi di affetto genera tentativi di armonia di continuo. In tutte le ierofanie per esempio come attribuzione del sacro in un certo albero o in una certa pietra, fino alle più complesse come la visione di una nuova forma divina da parte di un profeta, si pone un condizionamento storico che ripropone temi analoghi, ma allo stesso tempo si palesa “un eterno ricominciare”, un continuo ritorno ad un istante atemporale, un desiderio di abolire la storia e cancellare il passato, quindi ricreare il mondo (ibidem, pp. 10-11). Se lo traduciamo in chiave psichica, questa tendenza a fare esperienze di questo tipo richiama il bisogno imperante di comprendere l’origine, di incarnarla metafisicamente per avere una traccia immaginale che definisce l’esigenza di cambiamento insita nella psiche naturale. Questo coincide con le rivelazioni e le esperienze noetiche o di sincronicità, che ci spingono sempre oltre il limite delle considerazioni unilaterali, che siano spirituali con la manifestazione di mondi o entità metafisiche, che siano cliniche o religiose, entrando comunque nei misteri dei fenomeni psicologici in cui l’abbaissement du niveau mental (Janet) si manifesta con cause comprovabili o senza una causa determinabile.

Lynch e le sue opere: la fiction e gli stati non ordinari di coscienza

Tali argomenti vengono magistralmente offerti dal genio cinematografico di David Lynch che utilizza costantemente nelle sue opere l’esperienza visionaria come veicolo verso una consapevolezza superiore. La coscienza dei protagonisti delle sue storie spesso affronta la dilatazione della realtà spazio-temporale in cui queste dimensioni si disperdono nella loro coincidenza o nella loro assenza. Flashback o visioni sono presenti come comunicazione di informazioni essenziali per la trama e l’atmosfera onirica plasma le azioni e gli intrecci delle vicende. L’abbassamento della soglia di coscienza o sogni particolarmente complessi, accadono costantemente. Strade perdute del 1997 e Mulholland Drive del 2001 ne sono un esempio specifico per chi ha avuto modo di apprezzare questi film. La mia concentrazione va però alla serie cult degli anni 90 “Twin Peaks” il cui sequel si è rivisto sugli schermi nel 2017. Le vicende narrate coinvolgono i cittadini di una piccola zona dello stato di Washington a contatto con immensi boschi che nascondono segreti ancestrali. L’omicidio di una giovane spinge le indagini verso una realtà soprannaturale. In apparenza la giovane conduceva una vita esemplare, integrata nella comunità, nella scuola, nello sport e nel volontariato…di notte si trasformava e dava spazio a tutte i desideri reconditi e sconvenienti che di giorno teneva occultati, in cui veniva fuori tutta la sua disperazione, certificata dalle sue trasgressioni. Siamo di fronte a una simbologia che contempla una dicotomia tra luce e ombra in senso analitico. La giovane Laura sapeva chi era e amministrava bene i due livelli della sua psiche. E non era controllabile da entità oscure provenienti da mondi di confine tra il fisico e lo spirituale, che possedevano gli umani per il loro gioco di violenza e perdizione. Lei conosceva sé stessa nella sua totalità, motivo per cui sarà uccisa dal padre “posseduto” dal demone Bob. Senza aggiungere altri risvolti specifici della storia, mi concentrerei sul tema del “doppio”.

Sull’Ombra e concetti affini

Nella puntata 11 della seconda stagione (anni 90) Lynch fa descrivere a uno dei personaggi (Hawk, un poliziotto nativo americano) il mito della sua gente che riguardava la genesi e la forma della dimensione “tra questo mondo e l’altro”:

«La mia gente è convinta che la Loggia Bianca sia un luogo dove vivono gli spiriti che governano gli uomini e la natura. […] C’è anche una leggenda su un posto chiamato la Loggia Nera, cioè l’io-ombra della Loggia Bianca. Questa leggenda dice che ogni spirito deve passare di lì se vuole raggiungere la perfezione. Solo lì potrai incontrare l’io-ombra che ti appartiene. Noi la chiamiamo anche “La dimora del limite estremo”. […] Ma fa attenzione, se entri nella Loggia Nera e il tuo cuore non è saldo, allora la tua anima sarà incenerita

Il tempo e lo spazio in queste dimensioni sono assenti, come nell’inconscio descritto da Freud e poi riprese da Matte Blanco (L’inconscio come insiemi infiniti: saggio sulla bilogica, 1975) che ci parla della logica dell’inconscio come costituito da due principi: la generalizzazione e la simmetria. Jung nelle sue argomentazioni intende la simmetria applicandola alla ricorrenza dei modelli culturali pre-logici come rappresentazioni spontanee della psiche naturale. Ritornando a Lynch, notiamo come le entità benevole e malvagie, come spiriti dei luoghi e demoni, insomma figure del mito e del folklore in chiave di proiezione delle immagini archetipiche, influenzano gli umani presentandosi a loro con sogni, fantasie improvvise e esperienze visionarie. E li influenzano perché molto potenti e antichi, immortali: primigeni rispetto alla psiche individuale-soggettiva. La psiche dell’umanità infatti come inconscio collettivo è immortale e noi come individui ne siamo agiti.

Per risolvere il caso arriverà un agente dell’FBI (Cooper) che usa metodi intuitivi giudicati poco ortodossi per indagare sul caso di Laura, ma in realtà lui stesso conduce un percorso di conoscenza e svelamento che lo porteranno a confrontarsi con il suo doppio, il Doppelgänger tipico del folklore tedesco di cui parleremo tra poco. Il risultato? Comprensione maggiore dei fatti esterni, ma soprattutto stati di coscienza non ordinari che contribuiscono sensibilmente al mutamento della sua personalità: la conoscenza di quello che è accaduto e accadrà va di pari passo con la conoscenza di sé.

Il Doppelgänger (https://it.wikipedia.org/wiki/Doppelg%C3%A4nger) riguarda il fenomeno che può definirsi “spettrale” o che può riguardare la cosiddetta “bilocazione” (esperienze extracorporee dette anche OBE), L’esperienza del Doppelgänger è un’esperienza storicamente documentata in chiave letterale anche dalla parapsicologia e se ne parla nelle vicende riguardanti Bruto nella congiura contro Cesare, A. Lincoln, John Donne e Percy Bysshe Shelley tra gli altri, associato sempre a percezioni extrasensoriali, un sapere spesso nefasto ma che coincide di fatto con una consapevolezza di forma superiore. Sarebbe il “gemello cattivo”, portatore anche di cattivi presagi e di morte. In filosofia il motivo del doppio è presente in Eraclito, Platone e Plotino, prospettive che plasmano anche le correnti ermetiche e gnostiche. Nella tradizione ebraico-cristiana sarebbe la contrapposizione Yaweh-Lucifero, Cristo-diavolo, e i santi, ovvero i mistici cristiani, nella loro iniziazione devono affrontare la lotta con i demoni e il demonio prima di completare la loro totale devozione e ascesa alla santità. Sorte simile accade ai santi indiani e agli sciamani asiatici e nativi americani. Esperienze simili vengono raccontate da Jung nel suo “Libro Rosso” e nel testo “I sette sermoni ai morti” dove demoni e dèi e tutti i vari personaggi con cui dialoga nell’immaginazione attiva, sarebbero la personificazione del policentrismo immaginale che alberga nell’inconscio collettivo, il nostro patrimonio inconscio.

Conclusioni

Appunto, noi possiamo andare oltre i letteralismi e lavorare questi contenuti della cultura come simboli di processi psichici costanti nella vita psichica dell’uomo in ogni tempo, anche se appaiono come esperienze extra-ordinarie. Il sapere superiore di cui abbiamo accennato prima nasce a quanto pare esclusivamente dopo il duro confronto con la dimensione oscura che alberga dentro di noi: quelle qualità distruttive, marce, e passa per la sofferenza, i sintomi, la condizione morbosa, le difficoltà, le condizioni avverse, tutto quello che serve per farci toccare il fondo. Solo dopo la discesa ci può essere una risalita e conquistarci così il diritto di sperare che ogni volta che ci sentiamo minacciati dall’interno saremo capaci di farvi fronte con metodi psichici: considerando ogni fenomeno come parte di un puzzle che rivela la nostra forma finale, frutto di trasformazioni, morti e rinascite continue. Infatti per concludere, il cavaliere luminoso (Cooper) per andare incontro allo svelamento di queste dimensioni oscure al di là del tempo (inconscio) trova il cancello d’ingresso, entra nell’oscurità e se ne fa contaminare. E infatti lui rimarrà bloccato per 25 anni e a uscire, per agire nel mondo concreto, sarà il suo Doppelgänger. Nella terza serie si conclude il processo riportando nella loggia nera il bad-Cooper con abilità e destrezza “sciamanica” cioè colui che si sa muovere “tra questo mondo e l’altro”, perché Cooper forse, avrà integrato e compreso la sua dimensione oscura, necessaria per la completezza come congiunzione degli opposti, aveva compreso la totalità psicologica come espansione di coscienza. Mi viene in mente la tavola alchemica n.17 del Rosarium Philosophorum le cui xilografie risalgono al 1550.

In questa figura che si intitola “Perfectionis ostensio” che si traduce con sfoggio di perfezione o ostentazione di perfezione, dice Fabricius (Alchimia, 1997, Mediterranee, p. 162), l’androgino in cui confluiscono gli opposti maschile-femminile, dopo l’operazione detta coniunctio oppositorum, appare dominare un serpente a tre teste (simbolo del mercurio grezzo o della natura materiale: minerale, animale e vegetale). La sua rinascita “solare” e il suo viaggio nella putrefazione-morte gli conferisce qualità infere, che si notano dalle ali da pipistrello, animale notturno e che sa orientarsi nell’oscurità.

Intuire questi processi archetipici e maneggiarli, coincide con una capacità allargata di vedere le cose, e coincide di conseguenza con uno dei modi universali di considerare il benessere psichico. Ogni simbolo di illuminazione nella storia umana, inteso non soltanto come rivelazione spirituale, ricalca il ciclo del sole che tramonta dando vita al gelido notturno timore, per poi lasciare spazio all’entusiasmo e la gioia dell’alba: queste esperienze cariche di senso per la psiche arcaica, diventano simboli archetipici che tracciano una via ricorrente. La “luce divina”, simbolicamente il cerchio solare, capace di infondere la vita e la speranza per cui, transitata la notte con le sue insidie, il sole come un dio risorgerà dall’oscurità come la nostra coscienza rinnovata.

(Immagine “Loggia nera” reperita su www.horrormoth.com)

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